Pagina:Della Porta - Le commedie I.djvu/144

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ATTO III.

SCENA I.

Panfago, Pirino.

Panfago. Or vadansi ad appicar tutti coloro che non credono che amore non basti a trasformar gli uomini in strane foggie; poiché tu da libero e bianco sei divenuto nero e ti lasci vender come vil schiavo.

Pirino. Dimmi, Panfago, potrei esser riconosciuto da alcuno?

Panfago. Certo, se non avesse visto io imbrattarvi il viso con quella polvere, non crederei mai che foste Pirino: cosí rassembrate un schiavo al naturale; ci è questo di buono ancora, che incontrandovi con Melitea non sarete scoperto, se diventerete pallido o rosso con Mangone, ché il color nero nasconde il color del volto sotto la tinta: andate come in maschera.

Pirino. Io non vorrei parer tanto quel che non sono, che, volendo, parer quel che sono non potessi.

Panfago. Ma io come vi paio?

Pirino. Veramente mi par che tu non sia, né devresti mai far altro che ingannare: cosí dimostri essere un gran ladro, e se non ti conoscessi, ti giudicherei un ladro naturale.

Panfago. Con questo giubbone non dimostro magnificenza? e con questa ciera un mercadante ben ricco?

Pirino. Non potrai dir che tu sei povero, perché sei mercadante e hai schiavi da vendere.

Panfago. Se non m’hai rispetto e parli con creanza, ti darò bastonate. Tu sei mio schiavo e ti posso vendere a mio piacere: e te ne farò veder l’esperienza, ché ti venderò or ora.

Pirino. Hai ragione, vendimi tosto.