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224 la fantesca


Pelamatti. Ancora non ci era accostato.

Panurgo. Ti toglio la fatica di battere, e par che te ne spiaccia.

Pelamatti. E se fusse tua madre, aresti tanta paura che fusse battuta?

Panurgo. Se può dir mia madre, che questa mattina, uscendone, mi ha partorito.

Pelamatti. Dio ti facci esser nato in buon ponto. Figlio di questa porta, mi sapresti dir se dentro ci fusse Facio?

Panurgo. Facio ti sta innanzi e parla teco.

Pelamatti. Dunque, voi sète...

Panurgo. Sí, sí, Facio padre di Alessio.

Pelamatti. Me l’avete tolto di bocca, che proprio volea dimandarvi se voi eravate Facio.

Panurgo. Io son Arcifacio, son Faciissimo.

Pelamatti. Me ne vo dunque: voi non sète quel che cerco. Vo’ Facio, non Arcifacio né Faciissimo.

Panurgo. Io son quello che cerchi, or vengo dalla bottega di maestro Rampino, che mi desse le vesti; e disse avermele inviate per un suo servo; e or aspettandole stava passeggiando dinanzi la mia casa.

Pelamatti. Queste son dunque le vesti che aspettavate?

Panurgo. Sí, sí, queste son desse.

Pelamatti. Ancor non l’hai viste, e dici: sí, sí. Se le volete, venite in bottega.

Panurgo. Perché non me le dái tu qui?

Pelamatti. Non mi avete ciera di Facio.

Panurgo. Hai tu visto mai Facio?

Pelamatti. Non io.

Panurgo. Come dunque non ti ho ciera di Facio? Ma mirami bene, questa mia ciera non è tanto buona che ne potresti far candele?

Morfeo. (Sí da vero, céra proprio da esser bruggiata!)

Pelamatti. La céra mi par cattiva e il mele deve essere assai peggiore, perché mi hai ciera di un gran ribaldo. Poiché sète venuto adesso da mastro Rampino, ditemi, dove sta sua bottega?