Pagina:Della Porta - Le commedie II.djvu/126

Da Wikisource.
114 la cintia

anzi a voi non cade una minima lacrimuccia dagli occhi che tutti non sieno rivi di sangue che mi piovono dal core e m’affligono d’un’afflizione intolerabile: né posso far che non vel dica.

Balia. Non è il maggior rabarbaro, figlia, per purgar l’animo di amore che l’ingratitudine, e io non so come per tante che n’avete patite voi stiate cosí ostinata in questo amore; però scioglietevi, vi dico, da questo laccio.

Lidia. Oimè, che quante volte ho tentato di sciormene me ci sono piú strettamente aviluppata, per esser a questa guisa tessuti i lacci amorosi! O mio cuor troppo ardente, o suo troppo freddo, o sua bellezza che tanto mi piaci, o mio volto che cosí gli spiaci, o dolor insoportabile, ahi, ch’io sola li so ché sola li provo!

Amasio. Lidia mia, ascolta un consiglio.

Lidia. Amor non ascolta consiglio.

Balia. Avete dunque ad impazar per Cintio? Maladetta sia tal sorta d’amore! io non so come lo potete amare pensando che siate disamata.

Lidia. Son disamata, odiata e schivata da ciascuno.

Amasio. Non dite cosí, ché conosco persona che v’ama tanto che non so se voi cosí amate Cintio svisceratamente.

Balia. Ascolta, figlia mia, ché non è morto il mondo per te giá.

Lidia. Che miserabil uomo deve essere costui che si sia posto ad amar me?

Amasio. È nobile e ricco quanto voi; bello non dico quanto voi, ché voi avanzate l’istessa bellezza.

Lidia. Voi sète tanto bella che mi contenterei esser bella quanto voi.

Amasio. Ma è tanto bello che voi poco anzi l’avete lodato.

Lidia. Dove abita?

Amasio. Poco lungi da vostra casa.

Lidia. Sa egli che amo altri?

Amasio. Sí bene; e i suoi dolori e i cigli sono pari ad una bilancia.

Lidia. Come può amarmi se sa ch’io amo altrui?