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172 la cintia

tratta quella lingua di bocca, accioché non inganni alcun’altra povera donnicciuola: ti farò cavar quel cuore malvaggio e traditore!

Cintia. Giá s’è partita. Non mancava altro agli affanni miei! La fortuna non comincia per una sola: a tempo che non so se debba viver un’ora, arò pensiero dell’altrui vita. Misera, che farò, qual sará il pensier mio? Non credo che viva anima cosí tribulata nell’inferno come la mia: resto al mondo per un infelice essempio d’ogni miseria. Oh quanto felici coloro che morti sono! che sará della mia vita?

SCENA VIII.

Erasto, Cintia, Dulone.

Erasto. (Ed è pur stato possibile ch’un uomo abbia potuto coprir sotto una simulata amicizia cosí orribile tradimento?).

Cintia. (Oimè, giá conosco alle narici aperte e inspiranti infocato fumo, dall’aria della fronte turbatissima e dal minaccievol volto la tempesta in punto contro di me!).

Erasto. (Ma veggio Cintio tutto mutato nel volto: giá gli sará raccontato l’affronto). Cintio, vo’ cercando di te per tutta la cittá.

Cintia. Eccomi al vostro comando.

Erasto. Abbreviamo le ciancie. Dimmi di grazia, Cintio, che ingiuria o dispiacere tu ricevesti da me mai, ch’io meritassi d’esser cosí amareggiato nell’anima per tuo conto? e sotto una finta amicizia nascondessi un verace tradimento? Ma non è buon nemico chi non sa fingere un buon amico.

Cintia. Non so che vogliate dirvi.

Erasto. Che mi abbi girato e aggirato come un putto, con darmi ad intendere che Amasia mi amasse e sposarla all’oscuro; e dopo ingravidata la ritrovo maschio e che non mi conosce. Tu gentiluomo di onore no, ma d’infamia; tu di fede no, ma di tradimento!

Cintia. Io sono gentiluomo e di onore e di fede, e ve lo farò conoscere, e son qui nelle man vostre, e se non vi fossi verrei a porvemi per giustificarmi con voi.