Pagina:Della Porta - Le commedie II.djvu/189

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atto quarto 177


Erasto. Io non posso piú crederti, ché, avendomi due volte ingannato, non prestarò piú fede alle tue parole.

Cintia. Chiamo Iddio in testimonio!

Erasto. Tu te ne servi per ingannare.

Cintia. Dico che ciò non solo non è vero, ma meno può esser vero; anzi se Iddio volesse far questo vero, bisognarebbe trasformarmi dalla mia natura e darmi altro naturale col qual bastasse a farvi una simile ingiuria. E presto v’accorgerete che dico il vero.

Erasto. Lidia, vattene su, che tra noi diffiniremo le nostre contese. — Cintio, l’amicizia che hai avuta fin ora meco non è stata per altro che per tradirmi; ma d’oggi innanzi ti arò per quel traditore che tu sei.

Cintia. Io non ti ho fatto altro tradimento che di averti troppo amato.

Erasto. Tu non mi ci corrai piú con le tue paroline; e la spada scoprirá la veritá, e giá mi vien la stizza passartela per lo petto.

Cintia. Piú tosto per lo ventre, acciò non resti al mondo seme di tanta ingratitudine! Ma poiché la volete meco, la torrò con voi assai volentieri. Ponete mano alla spada.

Erasto. Ancor ardisci, puttaccio, di provocarmi?

Dulone. Padron, state in cervello, che sta armato di giacco: perciò ha tanto ardire.

Cintia. Vedete se ho soverchiarla con voi: ecco il fianco nudo.

Erasto. Va’ va’, che ci vedremo.

Cintia. Finiamola ora.

Erasto. Ci troveremo bene in altro luogo.

Cintia. Dove, quando e come volete!

SCENA X.

Erasto, Dulone.

Erasto. Son desto o dormo, son vivo o morto? Che novitá son queste che veggio o che ingannano gli occhi miei? O caso non piú intervenuto! e se il racconto, che fia di Cintio?