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ATTO V.
SCENA I.
Arreotimo padre di Cintia, Balia.
Arreotimo. Ed è vero quanto mi dici?
Balia. Io v’ho narrato appuntino tutto il fatto, onde nelle mani vostre sta la morte e la vita di mia figliuola.
Arreotimo. O misero Arreotimo, e qual prima piangerai di tante disgrazie? che di maschio ch’io pensava Cintio, or sia femina; o di femina che ora la trovo, sia disonesta; o che nel fin perduta l’onestá, abbia insieme a perder la vita? o debbo forse pianger me stesso che sia vissuto insino a tanto ch’abbia dovuto veder tante disgrazie? Che tu sia femina o maschio me ne doglio e rallegro; ma mi doglio che pensandomi aver un maschio mi ritrovo aver una femina, e mi rallegro ch’essendo femina sia di tanta virtú e valore. Dogliomi non abbia avuto piú riguardo all’onor tuo; mi rallegro che, inscusabile in sé rendendosi la tua incontinenza, il pregiudicio, che hai fatto a me e a te stessa, sia stato per uomo di tanta qualitá, la cui riputazione e bellezza sarebbono state bastevoli a far arder altra persona di una fanciulla inesperta. Ché se le femine cinte di mura e sotto le guardie di madri, padri e fratelli pur fanno delle scappate, come tu, andando libera e trattando con gentiluomini giornalmente, non avevi da pericolare? Dogliomi ch’io non sapendo che fusse femina l’ho fatto conversar con lui e interdettole ogni altra conversazione, talché io medesimo son stato il ministro e il fabro della mia ruina. Ma a che effetto Ersilia mia moglie ingannarmi?