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334 lo astrologo


Lelio. Che ha che fare l’astrologia col transformare un uomo nell’altro?

Cricca. Che so io? non potrei tanto dirvene che non restasse piú a dirvene.

Lelio. Che ne sai?

Cricca. L’ho visto con questi occhi.

Lelio. Gli occhi vedono alle volte cose che non furono mai.

Eugenio. E ci vuoi far credere che l’hai visto?

Cricca. Se non l’ho visto con gli occhi miei, che non vegga piú mai!

Eugenio. Ci vuole far vedere la luna nel pozzo.

Lelio. Saremo, Eugenio caro, tanto da poco in cose che i nostri padri in cosí disconvenienti desidèri sappino piú di noi? e che vogliamo lasciarci tôr le spose senza volerci aiutare? Destiamoci noi stessi: pur chi s’annega, mena le braccia e le gambe per non lasciarsi morire; però in questa tempesta d’amore meniamo le mani con i piedi per non lasciarci peggio che morire e per non averci a doler poi della nostra negligenza e non aver fatto quanto umanamente può farsi.

Eugenio. Non credo sia maggior miseria di quella ove noi siamo, poiché padre e figliuolo, tutti, mirano a un segno; né posso imaginarmí come per tante ripulse che li avete dato, pur non si arresta di chiederlavi.

Lelio. Ogni ora, ogni momento da diversi amici e parenti mi fa parlare, sempre con nuove proposte o nuove offerte; né io posso darli tante sconcie ripulse quanto egli con piú vantaggiosi partiti si offerisce. Io non ho voluto con piú aspre parole ingiuriarlo e modi disconvenevoli per non disconciar il fatto nostro.

Eugenio. Ed è possibile che non abbiamo un amico, un parente che lo facci accorto di questo suo amorazzo, che un uomo di ottantacinque anni voglia per moglie una giovanetta di sedeci in diecisette anni?

Lelio. Non è per mancamento di amici o di parenti; ma niun vuole intricarsi o trapporsi fra padri e figliuoli.

Eugenio. Non sarebbe buon Cricca, di cui tanto si fida e ascolta i consigli suoi?