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386 lo astrologo


Pandolfo. Le allegrezze non ponno capir in me ripieno di tante calamitá, che la maladetta fortuna mi ha colmato di tante miserie.

Cricca. Non offendete la vostra buona fortuna con queste maledizioni, ma concorrete meco in allegrezza, ché col soffio della buona nuova sparirá da voi la cattiva fortuna.

Pandolfo. Lo farò se averò tanto potere. (Certo costui mi portará nuova che si sian ritratti dalla sentenza e non averli concessa Artemisia). Dimmi, che allegrezza è questa?

Cricca. La maggior desiderata da voi.

Pandolfo. Orsú, raccontami tanta allegrezza: forsi si sono mutati di parere e me la vogliono restituire?

Cricca. Vi restituiranno quanto avete perduto.

Pandolfo. La restituiranno?

Cricca. Restituiranno.

Pandolfo. Perché dunque avean negato darmela?

Cricca. Per tôrsela per loro; ma non è piaciuto la godessero, ed al fin sará pur vostra.

Pandolfo. Quando dunque me la restituiranno?

Cricca. Or ora, quando voi vorrete.

Pandolfo. Perché non andiamo volando? perché trattenermi in parole?

Cricca. Non ve ne trattare se prima non mi promettete la mancia.

Pandolfo. Siati promesso quanto saprai chiedermi, e di straordinario ancora.

Cricca. Voi vedete la mia cappa che ha solamente perduto il pelo, che tutta l’acqua del legno santo e della salsapariglia del Perú non bastaranno a restituircelo.

Pandolfo. Arai cappe, calze e calzoni, e quanto saprai chiedermi.

Cricca. Ma bisogna che vi tratti prima in che modo l’abbi ricuperata.

Pandolfo. Non mi curo del modo: bastami solo che sia mia.

Cricca. Partito che fui da voi, me ne andava per la piazza dell’Olmo. Per la via m’incontro in un uomo d’una ciera