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62 l’olimpia


Teodosio. ... Non avete un neo nell’ombelico con certi peluzzi biondi?

Sennia. (Come, figlio, ha potuto saper questo?).

Lampridio. (I furbi che vanno a torno per lo mondo, da’ nèi che vedono nella faccia, indovinano gli ascosti nella persona: lo sa per questo che v’ha visto nella faccia. Ma diamogli un poco la baia).

Sennia. Ditemi, quando vi sète riscattati?

Teodosio. Avendomo inviato molte lettere per lo riscatto, ha voluto la nostra disgrazia che di niuna ne abbiamo ricevuto risposta; cosí abbiam rotta la prigionia e siamo scampati.

Lampridio. Voi dovete esser usi a star in prigione; non deve esser questa la prima volta che l’avete rotta.

Sennia. Come sète venuti a Napoli?

Eugenio. In poco tempo, vogando il remo la notte e il giorno.

Lampridio. (N’han ciera da vogar bene: mirate che braccia sode, proprio nate per stare ad una galea!). Che strada avete voi fatta al venir di Turchia?

Eugenio. Niuna, l’avemo ritrovate fatte.

Lampridio. Che si fa, che si dice in Turchia?

Eugenio. Si fan mercanzie, palaggi e navi, e si dicono delle veritadi e delle bugie, come qui ancora.

Lampridio. Mi risponde da filosofo.

Eugenio. E tu mi dimandi come se mi volessi dar la baia.

Lampridio. (Al sicuro ragionar di costoro e a’ segni che mostra Sennia, dubito da dovero che questi sieno i veri Teodosio ed Eugenio, e io stesso m’arò dato l’ascia nelle gambe in fargli conoscere Sennia). Ma rispondetemi: quanto avete allogato questi ferri e questi cenci che avete adosso? e quanto v’ha promesso il capitano ché lo vogliate servire a questo effetto?

Eugenio. Che promesse, che servire, che capitano?

Lampridio. Ché foste venuti con dir che siate Teodosio ed Eugenio, accioché Olimpia mia sorella gli fusse data per moglie?

Teodosio. Io non so che tu dica: io sono il vero Teodosio e questi è il vero Eugenio mio figliuolo.