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DELLE DONNE 37

di Platone sulla missione e sui diritti delle donne, errerebbe grandemente. Platone può dirsi invece il più liberale dei greci filosofi in tale argomento. La comunione delle donne da lui patrocinata nel Dialogo della Repubblica, non è già una dottrina etica, collegata cioè con premesse corrispondenti circa la naturale dignità e i diritti del sesso femminile di fronte al maschile, ma unicamente una dottrina politica, nella quale, come in tutta la Repubblica, lo scopo e l'interesse dello Stato prevalgono ai diritti degli individui. Quello scopo ed interesse è la procreazione di una prole robusta e sana: Platone vorrebbe che le donne passassero da un uomo all’altro per non rimanere inoperose accanto a mariti impotenti, o per mettersi in grado di generare una prole migliore; in ciò consiste sostanzialmente la comunione platonica delle donne1. La libertà e la dignità morale di queste viene immolata alla ragion di Stato nello stesso modo in cui per un motivo consimile sono pure immolate allo Stato la dignità e la libertà degli uomini. Imperocché non sono questi in verità meglio trattati delle donne nella Repubblica di Platone, che gli uomini distingue in tre categorie, a giudizio dei magistrati supremi, e ciascheduno avvince alla classe cui venne assegnato, e la vita di tutti, materiale e spirituale, racchiude ed assorbe nella cerchia degli uffici spettanti alle singole classi, dei governanti o filosofi, dei guerrieri, dei lavoranti. Ma se il criterio politico fu per Platone decisivo nell'ordinamento della società, e nella distribuzione dei diritti e degli uffici fra gli uomini e le donne, ciò non gli ha impedito di riconoscere le leggi e le tendenze naturali a cui egli si proponeva di far violenza. Quanto alle donne in particolare, la loro uguaglianza di natura cogli uomini è pure, nota lo Zeller2, un'idea di cui Platone è profondamente penetrato, e di cui si trovano non poche tracce nella

  1. De Republica, IV, 423, E, v, 457, C.
  2. Die Philosophie, der Griechen, Tubinga 1859, 2a parte, p. 552