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Pagina:Della consolazione della filosofia.djvu/171

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PROSA SESTA E ULTIMA.

Poscia dunque che, come s’è poco dinanzi dimostrato, tutto quello che si sa, non secondo la sua, ma secondo la natura di quegli che lo comprendono si conosce, vediamo ora, per quanto n’è lecito, qual sia lo stato della sostanza divina, acciocchè qual sia ancora la scienza di lei conoscere possiamo. Che Dio sia eterno è giudizio comune di tutti coloro che con ragione vivono. Consideriamo dunque che cosa eternità sia; perchè questa la natura divina e la scienza egualmente manifesta ne farà. E adunque l’eternità una possessione perfetta e tutta insieme d’una vita interminabile, che mai non debba venir meno; il che per comparazione delle cose temporali più chiaramente si palesa: perciocchè chiunque vive in tempo, questo, essendo presente, procede dal passato nell’avvenire; e niuna cosa è nel tempo posta, la quale tutto lo spazio della sua vita possa insieme parimente abbracciare; perchè quel di dimane non apprende ancora, e quello di jeri ha di già perduto; e ancora nella vita d’oggi non più che in quel mobile e transitorio momento, che si chiama presente, vivete. Quello dunque, che è alla condizione del tempo sottoposto, ancorchè egli, sì come del mondo giudicò Aristotile, non abbia mai cominciato ad essere nè mai fornisca, e la sua vita con infinità di tempo si distenda, non è per tutto ciò tale, che meritamente credere eterno si possa: perchè, sebbene egli comprende e abbraccia lo spazio d’una vita infinita, non però l’abbraccia e comprende tutto a un tratto; perchè le