Pagina:Della consolazione della filosofia.djvu/36

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dunque se ella chiede cose ragionevoli o no. Perchè m'accusi tu, o Boezio, e ti duoli di me ciascun giorno? che ingiuria t'abbiamo noi fatta? quali beni t'abbiamo noi tolti, che fossero i tuoi? Piglia che giudice ti piace, e contendiamo a chi s'aspetti la possessione delle ricchezze e delle dignità; e, se tu mostrerai che alcuna di queste cose sia propria d'alcuno mortale, da ora innanzi io son contenta concederti di mia spontanea volontà che le cose, le quali tu ora richiedi, fossero già tue. Quando tu uscisti del ventre di tua madre, io ti ricevei ignudo e mendico di tutte cose; t'ajutai colle mie facoltà, e, quello che ora è cagione che tu non possa tollerarmi, inchinevole a favorirti t'allevai troppo vezzosamente, e di tutte quelle cose, le quali sono in podestà mia, larga e orrevole parte ti concedei: ora mi vien bene di ritirare a me la mano, perchè tu debba bene ringraziarmi, come colui che ti sei delle mie cose servito; ma non puoi già dolerti come se avessi le tue perduto. Di che piangi dunque? niuna violenza t'è stata fatta da noi. Le ricchezze, gli onori, e l'altre cose somiglianti, sono nel poter mio: elleno, essendo mie fanti, riconoscono me per lor donna; perciò vengono con esso meco, e con esso meco si partono. Io oserei d'affermarti sicuramente, che se quelle cose, le quali tu ti rammarichi d'aver perduto, fossero state tue, tu non avresti in alcun modo potuto perderle. Párti egli giusto che io sola debba essere vietata di potere usare la mia ragione? Al cielo è lecito di cavar fuori bellissimi giorni, e questi stessi nascondere con notti tenebrosissime. È lecito al-