Pagina:Delle cinque piaghe della Santa Chiesa (Rosmini).djvu/46

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orribilmente scandalose nelle mani di loro, a cui Cristo avea detto: «Vi mando siccome agnelli «nel mezzo de’ lupi (Matth. x, 16.)» Ed era ben naturale che tali Vescovi, resi uno degli Stati del governo politico, e per avventura il più influente; e a questa loro temporale fortuna oggimai affezionati, avvolti fossero in quelle risse e discordie, che fra i potenti del secolo ribollivano; perocchè il potere e la ricchezza sono di lor natura infauste fonti di contese, o a chi le vuol difendere per conservarle, o a chi le adopera quali mezzi di offendere, per ingrandirle. Però l’unione santa, perpetua, universale dell’episcopato de’ primi tempi cessò, e a lei successero quelle unioni parziali e momentanee, che producono i temporali interessi, voglio dire le confederazioni, le leghe, le funzioni. Qual divario! Potea con tali partiti conservarsi l’unità del corpo episcopale? Non doveva necessariamente riuscirne un pò alla volta quell’isolamento universale de’ Vescovi, che pur troppo è una delle piaghe più gravi ed atroci che fanno inconsolabilmente lagrimosa la Chiesa di Dio?

65. Que’ Vescovi, i quali sono immersi in cure e negozi secolari, egli è bene evidente che debbono avvolgersi di continuo con magnati e con principi: ed è evidente ancora, che l’esser continuo con tali persone del secolo non può farsi a lungo senza prenderne i costumi e i modi, e senza modificare al gusto di quelle anche sè stessi, la propria famiglia, le proprie abitazioni. Egli è evidente ancora, che la conversazione secolare è assai opposta, all’ecclesiastica, e che chi si è reso vago del fasto, del clamore e della licenza di quella; schifa oggimai la modestia, l’ordine e la severità di questa. Dovea dunque necessariamente avvenire., che al prelato, dalla grandezza del secolo occupato, non solo noiasse il ravvolgersi fra la plebe, pur suo gregge, e co’ cherici inferiori, intesi esclusivamente alle umili funzioni della Chiesa e a’ particolari della cura d’anime; ma che anche alla conversazione stessa cogli altri prelati, appunto perchè ecclesiastici, preferisse quella de’ grandi secolari, più gaia, men censoria, e talora ben anco alle sue mire più vantaggiosa.

66. Indi l’abbandono delle proprie diocesi, fatto da tali pastori non pure per cagione di recarsi a’ parlamenti ed ai Concili nazionali; ma per diletto di stanziare abitualmente nelle corti de’ regi, donde indarno la voce di tanti Concili tentò richiamarli1. E a che fare nelle corti? Forse a godervi i piaceri; forse a cercar modo d’ingrandire quella fortuna terrena che apre nel cuore umano delle brame sempre implacabili; forse a pascersi di vanità, riscuotendone gli omaggi, e facendovi una figura vantaggiosa; forse a mescolarsi anche nelle doppiezze o nelle barbarie della politica; forse a farvi guerra finalmente alla stessa Chiesa, alla sua dottrina o alla sua disciplina; forse a tenervi l’ufficio infame di delatori; forse a soddisfare le personali loro animosità contro i loro confratelli nell’episcopato; forse a rinfiammarvi una guerra perfida e sacrilega contro il loro padre e maestro comune, il romano Pontefice, forse a liberare dal sorriso del principe la beatitudine delle loro anime avvilite; forse ad adularlo, a condirne i piaceri infami, a condirne le imprese crudeli con una giovialità scimunita e spensierata; che dico a condirle di giovialità? anzi a benedir quelle imprese, a santificar que’ piaceri con solenni pa-

  1. Il Concilio di Antiochia dell’anno 341, non che riprendere l’abitare del Vescovo alla corte, non parla tampoco di questo, come di un disordine ancora sconosciuto, e ordina che nessun Vescovo, prete, o altro cherico non possa nè pur fare una mera visita all’Imperatore senza il consenso e le lettere de’ Vescovi della provincia, e segnatamente del Metropolitano: e se alcuno infrange questa ordinazione del santo Concilio, egli sarà scomunicato, e sopra ciò sarà ancora privato della sua dignità! Tant’era la gelosia santa che aveasi allora per la libertà della Chiesa! tanto il timore del contagio delle grandezze temporali! Il Concilio di Sardica dell’anno 347 ordina che nè pure per gli affari che interessano la carità, vada il Vescovo a Corte, ma vi mandi un suo Diacono.