Pagina:Delle cinque piaghe della Santa Chiesa (Rosmini).djvu/78

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per coscienza di non opporsi al volere divino, vide sì tetri estere i tempi, che volendo un Papa adempire i propri doveri, dovea rimanerne vittima. S’infiammò quindi d’uno spirito di sacrifizio, e mostrò tosto al mondo di avere quel sublime concetto dell’episcopato che aveano i Vescovi primi della Chiesa, scrivendo a’ suoi confratelli «Noi considerando, e pel breve termine di questa vita, e per la frivola qualità de’ comandi temporali, che niuno può ricever meglio questo nome di Vescovo, che allorquando patisce persecuzione per la giustizia abbiamo decretato d’incorrere più tosto le inimicizie degli iniqui ubbidendo ai divini comandamenti, che turpemente a quelli piacendo, provocare l’ira del cielo» (Ep. 11, Lib. ix.)

89. Innanzi tratto nulladimeno tentò con Enrico, il più paternamente che si potesse, tutte le vie della dolcezza e della pazienza; ma elle riuscirono affatto inutili: e i nunzi del pontefice, le sue lettere, le tante sue amorose premure egualmente spiegate ed illuse. Raccolse i Vescovi ed i Cardinali in Sinodo, e li addimandò di consiglio. Furono loro esposti i passi fatti dal padre de’ fedeli per disingannare il figliuolo traviato, e dall’altra parte le contumelie, gl’insulti, e l’aumento della scelleraggine col quale vi avea corrisposto Enrico; massime poi lo scisma che avea già tentato di fare nella chiesa col ministero di molti Vescovi corrotti, vilissimi suoi mancipl, in Lombardia ed in Germania; furono lette le lettere imperiali che recavano gli ambasciadori quivi presenti al Sinodo, piene d’ogni maniera di sagrileghi vilipendî; e s’udirono parlare gli ambasciadori, che in pieno concilio tennero al Papa il seguente discorso: «Comanda il re nostro signore, che tu deponga la sede apostolica e il papato, perchè è suo, e che non ingombri più questo santo luogo1:» furono considerate tutte le circostanze, la stranezza de’ tempi, il malore irremediabile senza un forte rimedio; e tutti i padri d’accordo, nessuno eccettuato, consigliarono il Papa, se v’avea mai circostanza in cui fosse espediente usare rigore, esser quella: doversi però tentare anche


    e dolendosi e con lettere e a viva voce, mandati de’ nunzi a Roma, si lagnarono presso Alessandro Vescovo della Sede Apostolica e di queste e d’altre cose senza numero che nel regno teutonico erano dette e fatte dagl’insani eretici simoniaci, autore patrono di tutte il re Enrico. — Intanto venuto a mancare il Signore Apostolico Alessandro, prese a governare l’Apostolica sede Gregorio, detto anche Ildebrando, di professione monaco. Questi, udite le querimonie e i giusti clamori de’ cattolici contro il re Enrico e l’immanità delle sue scelleratezze, acceso del zelo di Dio, pronunciò il detto re già scomunicato principalmente per la colpa della simonia.» Gli scrittori contemporanei sono d’accordo nel dipingere Enrico come dato ad ogni sorte di sfrenatezza, sì relativamente a’ costumi privati, come alla tirannide verso i sudditi, e all’empietà sfrontata verso la Chiesa. Ed egli però trova il patrocinio degli scrittori del passato secolo! E Gregorio, il giusto e magnanimo Gregorio, che espone la sua quiete e la sua vita per raffrenare un bestiale tiranno, per proteggere il popolo oppresso, e salvare il Cristianesimo che periva senza un pronto e forte riparo, egli è l’ambizioso, egli solo merita l’abbominio e le esecrazioni dell’umanità! Ma lode al cielo che muove i Protestanti stessi a riconoscere in Gregorio vii il vero difensore del genere umano, non pur della Chiesa, il demjurgo della moderna civiltà! (Vedi l’opera pubblicata in tedesco col titolo:) Ildebrando e il suo secolo! Sebbene il secolo di questo Gregorio rimarrà tuttavia ampia materia alla meditazione de’ secoli futuri.

  1. Un contemporaneo registra questo fatto: ecco le sue parole: Cum igitur dissimulare amplius tanti facinoris malitiam non posset, Apostolicus excommunicavit tam ipsum, quam omnes ejus fautores, atque omnem sibi regiam dignitatem interdixit, et obligatos sibi sacramentis ab omni debito fidelitatis absolvit: quia quod verecundum etiam est dicere, praeter haereticam quam praelibavimus culpam, aderant in sancto Concilio nuntii illius sic audentes latrare: «Praecipit Dominus noster rex, ut Sedem Apostolicam et Papatum, utpote suum, dimittas, nec locum hunc sanctum ultra impedias»... Igitur quem sui solius judicio Dominus reservavit, hic non solum judicare, verum etiam suum dicere, et quantum in ipso est audet damnare: quam ob causam omnis illa sancta Synodus jure indignata, Anathema illi conclamat atque confirmat. S. Anselmi Lucensis Poeniteatiarius, in ejus Vita cap. iii.