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Pagina:Delle cinque piaghe della Santa Chiesa (Rosmini).djvu/99

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tura la persona da eleggersi? Non avrebbero temuto ancor più, che la cosa andasse a finire, così che per Vescovi s’avessero quelli che al solo principe ne piacesse d’imporre alle Chiese? E che la conferma pontificia riuscisse una formalità, la quale non si ricuserebbe giammai solo che la persona eletta fosse immune da pubblici delitti? E basta questa immunità da delitti pubblici, perchè la Diocesi abbia quel Vescovo che più le conviene? che più desidera? E se i desideri delle Chiese non sono consultati, se esse non sono udite, che libertà ecclesiastica rimane, o almeno a che pro la libertà rimane?

108. Un altro passo che diede in quel secolo il potere laicale, che stava in ascendere nella sua influenza sulle elezioni, si furono le regie preghiere. Che più innocente di una semplice preghiera? sforza essa? non possono gli elettori non udirla? Or bene. Che ne parve allora alla Chiesa? il celebre S. Ivone di Chartres, quel Vescovo così amante della buona armonia fra lo Stato e la Chiesa1, così conciliatore, riputava la preghiera regia un annientamento della ecclesiastica libertà2, e con lui fortemente protestavano contro di quella i più intelligenti e santi prelati di quel secolo ix. Ma or si consideri: è egli più il solo manifestare un suo desiderio, come faceva allora il principe agli elettori, in favore di una persona, o il nominare a dirittura una persona di suo piacere? E se quella semplice manifestazione del desiderio sovrano avevasi per un attentato contro alla elezione canonica, or dov’è andata questa libera elezione, quando i principi nominano i Vescovi? e i Pontefici altro far non possono in ogni caso, che negarne la conferma? La qual conferma forse in tutti i casi possono liberamente ricusarla i Pontefici? No; ma primieramente non mai altro che allora quando il nominato abbia sopra, come dicevasi, un grave delitto; e non sempre nè pure allora; ma quando questo delitto sia potuto pervenire fino agli orecchi del Capo della Chiesa; non basta, di più è uopo che questo delitto sia provato sufficientemente. Nè questo è ancor tutto: conviene che il Pontefice, con negare la confermazione, non tema per avventura d’irritar troppo il monarca, non tema di far nascere un male assai maggiore nella Chiesa: e questo dipende dal temperamento de’ principi dalla loro religione e più ancora da’ ministri che li dirigono. E quando non dee mai poter esser facile ad alcun principe l’incutere questo timore nell’animo del Pontefice? massime in tempi d’incredulità, di freddezza, di ostilità universale contro la Sede apostolica? Dove riman dunque ne’ tempi nostri una verace libertà, e non di forma solamente, nelle elezioni de’ Vescovi? Che avrebbe detto adunque di un tale stato della Chiesa l’ecclesiastica antichità?

109. Si pare, che io non misuro la libertà che rimane in questi tempi alla Chiesa, colle massime dei primi secoli: mi contento chiamare a confronto il modo di pensare de’ primi prelati del secolo ix, secolo di sonno per così dire, in cui il Clero snervato era già pressochè assuefatto alla servitù dei sovrani. E tuttavia in quel secolo si conosceva ancora che cos’era libertà, e in che consistesse. Ora poi veggiamo qual fosse il pensare del secolo susseguente, nel quale la Chiesa scosse il giogo obbrobrioso dalle sue spalle, e in cui santissimi e fortissimi Papi resero la libertà ecclesiastica lucente sic-

  1. Basta leggere la lettera ccxxxviii di S. Ivone a Pasquale ii, per vedere quanto era grande lo spirito di concordia e di pace di questo santo Vescovo, e come a tutta sua possa procacciava che non fosse mai turbato il buon accordo fra lo Stato e la Chiesa. Nella qual lettera fra l’altre cose pone questa preclara sentenza: Novit enim Paternitas vestra, quia, cum Regnum et Sacerdotium inter se conveniunt, bene regitur mundus, floret et fructificat Ecclesia. Cum vero inter se discordant, non solum parvae res non crescunt, sed etiam magnae res miserabiliter dilabuntur.
  2. Si veggano le lettere lxvii, lxviii e cxxvi di questo gran Vescovo. Egli nella lettera cii dice a dirittura, che non licet regibus sicut sanxit octava Synodus, quam romana Ecclesia commendat et veneratur, electionibus episcoporum se immiscere.