Che all’orgoglio mortal serban gli Dei! 295Ancor tra noi non fu l’illustre Apelle,
Che pingesse qual è nel fato estremo
Un luminoso eroe. L’impresa eccelsa
Merta una man divina. Eroe sì grande
Meco vider le sante alate schiere, 300Quando scese in trionfo; e avendo in fronte
„Tutto il seren della magion beata“
Fero all’uom, che moria, corona augusta,
E in composta sembianza andar fastose
Tutte parean dell’onorato albergo. 305Sacre angeliche turbe, ah voi piangete
Il mio Filandro! A sì grand’opra e come
Por la mano io potrei, se in me non sento
Che smania, tenerezza, amore, e duolo,
Se di duolo, e d’amor piango, e vaneggio? 310Ma dell’amico i luminosi pregi
Preda saran d’un ingiurioso obblio?
Ah no. Già sento, che nel sen mi bolle
L’antica fiamma, e la sua voce io sento,
Che mi ricerca il cor, che vuol che l’opra 315Da me si tenti... E ben mia scorta sia
L’amistade, e l’amor. Comincia.... Oh Dio!
Qual incognito orror occupa, calma
I sensi miei? Io dal più chiaro giorno
Passo d’atra foresta al lume fioco. 320Il vasto sen della gran madre antica
Apresi, e porto il piè per ampie grotte,
Per orride rovine, e cupi alberghi,
Tristi avanzi d’antica immensa mole.
Giungo ove trono ha Morte, e al dubbio lume 325Di moribonde faci urne regali
Veggio, che più non han chi incensi, e fiori
Sparga con destra amica, e a lor non giunge
Voce di turba adulatrice, e stolta.
Veggio... S’arresti un sol momento il passo: 330L’alma tutta in se stessa or si raccolga.
Entro con fronte umil, tacito, e solo
Ove posa Filandro. Oh Dei, che miro!