Pagina:Delle strade ferrate italiane e del miglior ordinamento di esse.djvu/646

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Su queste basi potendosi fondatamente concepire la speranza di vedere le imprese industriali nei diversi Stati d’Italia sottratte a quelle dannose influenze che le hanno fin qui torturate, e che non infrequentemente nel primo loro nascere le hanno fatte abortire, si augurano i promotori di questa società che i loro cittadini faranno a gara per concorrere alla istituzione di una sì bella impresa, ed hanno voluto che, mentre si raccolgono le sottoscrizioni al presente progetto, egli ricevesse intanto la massima notorietà.

Firenze, il 25 settembre 1845.

Nessuna sottoscrizione è apposta a questo documento, che ci resulta però dettato da rette e generose intenzioni.

Ma queste non bastano sempre a far riuscire un assunto; e noi, che prima ed avanti ogni cosa pregiamo la libertà delle oneste opinioni, ci crediam lecito fere sulla proposta alcuni riflessi.

L’idea d’un’associazione generale dell’industria italiana certo è bella, generosa, lusinghiera per più d’un verso in coloro che desiderano il vero ben inteso suo progresso tra noi. Ma crederla praticabile nelle presenti condizioni d’Italia ci pare, più che altro, un’utopia nel rispetto in cui fu inspirata a coloro che la formolarono.

I termini poi ne’ quali venne proferita ci paiono aggiungere a questa improbabilità e contenere qualche pericolo.

Noi crediamo men probabile che i capitali italiani ora posti in traffico si spostino da dove sono, e vadano nella contrada che vorrebbe farsi centro alla proposta speculazione; nè che i possessori d’essi, i quali debbono, com’è naturale, preferire di trafficarli essi medesimi, acconsentano ad affidarli altrui collo stesso fine, ed a pagare perciò una provvisione che possono risparmiare.

D’altronde, se la Toscana rifulge per civiltà diffusa, pur troppo più non è, come altre volte, ricca di capitali; anzi è una delle parti della Penisola dove meno abbondano; e la cosa è tanto vera, che nelle moltissime speculazioni ora colà intraprese gli azionisti indigeni sono in numero minimo a confronto di quelli esteri. Ora, credere che buona copia de’ capitali or trafficati ne’ varii empori della Penisola con qualche frutto, se ne dipartissero per collocarsi nella proposta società ci pare men probabile.

Quali sarebbero adunque i suoi azionisti?

Qui sla, a senso nostro, il pericolo.

Un sentimento generoso ed onesto, cui facciamo plauso, quanto all’intenzione, si propone di far sì che la divisata società riesca a frenar l’aggiotaggio.

Noi temiamo anzi, ch’essa per mala ventura vi presti sì fattamente occasione da farlo anzi crescere.

Le azioni fissate per prima quota a sole lire 100, pagabili ancora per ventesimi, cioè a lire 5 per volta, darebbero adito a chiunque abbia uno scudo a