Pagina:Dialogo della salute.djvu/27

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N.
— Non saprei.
R.
— E bene non sai, poichè non dar valore è identico a «non volere». Ogni vivente qualche cosa domanda, o è in lui qualche cosa che domanda, anche soltanto le parti del corpo disorganizzato: e chiunque domanda qualche cosa alla vita per quel tanto è illuso. E non c’è vivente che non domandi. Poichè dimmi, il tuo uomo superiore alle illusioni come passa il tempo?
N.
— Gode quanto sa e può.
R.
— Se il piacere l’abbiamo definito come il contender ciò che contiene per l’organismo la promessa del futuro, e questo tu consideri come illusione indegna, non so come possa godere lui che mangiando non gioisce della futura forza delle membra, e le membra non lavorano per la bocca, ed ha così anche tutte le altre parti in egual modo dimentiche l’una dell’altra.
N.
— Ma ognuna gode per sè, il sapore buono delle cose pel sapore stesso.
R.
— Dunque non vive lui, ma vive in lui la voce d’ogni singola parte. La sua coscienza, se riguardiamo anche solo al corpo, non è più la coscienza d’un corpo, ma è disgregata e ridotta alle singole parti — se pur ci teniamo fermi a quanto abbiamo più volte stabilito, che al di fuori del piacere nessuna cosa ha valore per noi, che dunque tutta la coscienza dei valori non è altro che il piacere stesso.
N.
— Sia pure, poichè certamente se non è piacevole non c’è cosa che valga. E che ci giova