Pagina:Dialogo della salute.djvu/58

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cercare nei suoi posti caratteristici (fame, precipizii, fuoco) che il corpo conosce, egli arriverà presto a capire che il non-valore non gli vale la speranza del valore — ἢν ἐγγὺς ἔλϑῃ ϑάνατος, οὐδεὶς βούλεται ϑνῄσκειν.
N.
— E sì! Tu avrai ben ragione. Il tuo ragionamento fila diritto. Metti i termini, imposti le equazioni, e cavi il risultato. Nessuno potrebbe rilevarti un errore, nè errore ci può essere. Ma a che bene, dimmi? a che bene se tutto si dissolve nella nebbia maledetta, se la vita stessa è l’errore di cui non siamo responsabili, ma pur ne portiamo il peso, a che bene continuare se io lo so, se tu sai che mai ci potrà esser mutamento? a che bene? Sia pur violenza quella ch’io faccia a me stesso col suicidio, e che mi importa se pur dopo io sia distrutto nell’incoscienza? Sia pur vero ch’io non giunga a veder nè la vita nè la morte, e che m’importa? A chi ho da render conto, pur ch’io non soffra più questa pena, o come dicono i tristi versi:

purchè alla mia pupilla questa luce
che pur guarda la tenebra si spenga,
e più non sappia questo ch’ora soffro
vano tormento senza via nè speme,
tu mi sei cara mille volte, o morte,
che il sonno verserai senza risveglio
su quest’occhio che sa di non vedere,
sì che l’oscurità per me sia spenta.