Pagina:Dickens - Il grillo del focolare, 1869.djvu/65

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Iddio sa il vero; per me penso che le maniere stravolte e vaghe di Caleb prendean capo dall’aver egli perduta ogni idea esatta di sè e degli altri per amore della sua cieca. Come non apparire stralunato dopo aver lavorato tanti anni a distruggere la propria identità e quella degli oggetti che lo circondavano?

— Ecco fatto, disse Caleb, allontanandosi alcuni passi, per giudicar meglio del proprio lavoro: così vicino al vero come il dieci sta al venti. Che peccato che debba aprirsi l’intera facciata della casa; se vi si potesse adattare almeno una piccola gradinata ed un usciolino ad ogni stanzetta! Ah! codesto è il guaio del mestiere: bisogna sempre ingannare sè e gli altri.

— Babbo, voi parlate sommesso; sareste stanco?

— Stanco, Berta, ti pare! rispose Caleb animandosi ad un tratto. Io non sono mai stanco; non so che cosa sia stanchezza.

E per non togliere il credito alle proprie parole, represse alla meglio un lungo sbadiglio, involontaria imitazione di due stiracchiate e sonnolenti pitture poste ad ornamento del caminetto, due mezzi busti che parevano l’immagine della eterna stanchezza, ed intuonò un frammento di canzone.