Pagina:Dino Campana - Canti Orfici, Ravagli, Marradi 1914.djvu/145

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Ma mi parve che la città scomparisse mentre che il mare rabbrividiva nella sua fuga veloce. Sulla poppa balzante io già ero portato lontano nel turbinare delle acque. Il molo, gli uomini erano scomparsi fusi come in una nebbia. Cresceva l’odore mostruoso del mare. La lanterna spenta s’alzava. Il gorgoglio dell’acqua tutto annegava irremissibilmente. Il battito forte nei fianchi del bastimento confondeva il battito del mio cuore e ne svegliava un vago dolore intorno come se stesse per aprirsi un bubbone. Ascoltavo il gorgoglio dell’acqua. L’acqua a volte mi pareva musicale, poi tutto ricadeva in un rombo e la terra e la luce mi erano strappate inconsciamente. Come amavo, ricordo, il tonfo sordo della prora che si sprofonda nell’onda che la raccoglie e la culla un brevissimo istante e la rigetta in alto leggera nel mentre il battello è una casa scossa dal terremoto che pencola terribilmente e fa un secondo sforzo contro il mare tenace e riattacca a concertare con i suoi alberi una certa melodia beffarda nell’aria, una melodia che non si ode, si indovina solo alle scosse di danza bizzarre che la scuotono!