Che di mirarlo schiva,
Non sie omai più da me tua faccia aversa.
Che la nequizia prava,
Che ’n lenti lacci tenne l’alma schiava,
Or ben conosco, e ’l lusinghier piacere
Sgombro mi lancia ognor occhiate fiere. 3 Te sol, Signor, offesi,
Te del commesso error giudice vero:
Nè val l’altrui perdono
Di colpa sciorre i pesi,
Nè di pena francarmi il scettro altero.
A te, sol saggio e buono,
In pura confession così ragiono,
Perchè ne’ detti e ne’ giudizi santi,
Di verace ne porti e giusto i vanti. 4 Di vizio il brutto mostro
Guastò del nascer mio le prime forme:
Nè sì tosto concetto
Fui nel materno chiostro,
Ch’ebbe il peccato in me stampate l’orme.
Ma perchè ’l tuo diletto
È che risegga verità nel petto,
Nel cor m’infuse tua virtù divina
Di sapienza spirital dottrina. 5 Ben fu, lasso, contesa
Da me tua santa inspirazion benigna:
Ma pur non ti sie greve,
D’in me purgar l’impresa
Con isopo, la macchia atra e sanguigna.
Allor qual pura neve
Bianco sarò: fammi placato in breve,
Sentir di gioia e pace i dolci accenti,
Fa le trite esultar ossa e languenti. 6 Di mercè il largo velo
I mie’ peccati a le tue luci invole:
Nè sien le colpe rie