Pagina:Discorsi sopra la Prima Deca di Tito Livio (1824).djvu/424

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Pisoniana contro a Nerone; nella quale Scevino, uno de’ congiurati, il dì dinanzi ch’egli aveva ad ammazzare Nerone, fece testamento, ordinò che Milichio, suo liberto, facessi arrotare un suo pugnale vecchio e rugginoso, liberò tutti i suoi servi e dette loro danari, fece ordinare fasciature da legare ferite: per le quali conietture accortosi Milichio della cosa, lo accusò a Nerone. Fu preso Scevino, e con lui Natale un altro congiurato, i quali erano stati veduti parlare a lungo e di segreto insieme, il dì davanti; e non si accordando del ragionamento avuto, furono forzati a confessare il vero talché la congiura fu scoperta, con rovina di tutti i congiurati.

Da queste cagioni dello scoprire le congiure è impossibile guardarsi che, per malizia, per imprudenza o per leggerezza, la non si scuopra, qualunque volta i conscii d’essa passono il numero di tre o di quattro. E come e’ ne è preso più che uno, è impossibile non riscontrarla, perché due non possano essere convenuti insieme di tutti e’ ragionamenti loro. Quando e’ ne sia preso solo uno, che sia uomo forte, può elli, con la fortezza dello animo, tacere i congiurati; ma conviene che i congiurati non abbiano meno animo di lui a stare saldi, e non si scoprire con la fuga: perché da una parte che l’animo manca o da chi è sostenuto o da chi è libero, la congiura è scoperta. Ed è rado lo esemplo indotto da Tito Livio nella congiura fatta contro a Girolamo, re di Siracusa; dove, sendo Teodoro, uno de’ congiurati,