Pagina:Discorsi sopra la Prima Deca di Tito Livio (1824).djvu/430

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loro meritare, scrisse Antonino a Materniano suo amico a Roma, che intendessi dagli astrologi, s’egli era alcuno che aspirasse allo imperio, e gliene avvisasse. Donde Materniano gli scrisse, come Macrino era quello che vi aspirava; e pervenuta la lettera, prima alle mani di Macrino che dello imperadore, e, per quella, conosciuta la necessità o d’ammazzare lui prima che nuova lettera venisse da Roma o di morire, commisse a Marziale centurione, suo fidato, ed a chi Antonino aveva morto, pochi giorni innanzi uno fratello, che lo ammazzasse: il che fu esequito da lui felicemente. Vedesi, adunque, che questa necessità che non dà tempo, fa quasi quel medesimo effetto che il modo, da me sopra detto, che tenne Nelemato di Epiro. Vedesi ancora quello che io dissi, quasi nel principio di questo discorso, come le minacce offendono più i principi, e sono cagione di più efficace congiure che le offese: da che uno principe si debbe guardare; perché gli uomini si hanno o accarezzare o assicurarsi di loro; e non li ridurre mai in termine che gli abbiano a pensare che bisogni loro o morire o far morire altrui.

Quanto ai pericoli che si corrono in su la esecuzione, nascono questi o da variare l’ordine, o da mancare l’animo a colui che esequisce, o da errore che lo esecutore faccia per poca prudenza, o per non dare perfezione alla cosa, rimanendo vivi parte di quelli che si disegnavano ammazzare. Dico, adunque, come e’ non è cosa alcuna che faccia tanto sturbo o impedimento a tutte