Pagina:Discorsi sopra la Prima Deca di Tito Livio (1824).djvu/440

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stette in Roma, ma venne in Senato, e disse villania al Senato ed al Consolo, tanto era il rispetto che quella città aveva ai suoi cittadini. E partito che fu di Roma, e ch’egli era di già in su gli eserciti, non si sarebbe preso Lentulo e quelli altri, se non si fossoro avute lettere di loro mano che gli accusavano manifestamente. Annone, grandissimo cittadino in Cartagine, aspirando alla tirannide, aveva ordinato nelle nozze d’una sua figliuola di avvelenare tutto il Senato, e dipoi farsi principe. Questa cosa intesasi, non vi fece il Senato altra provisione che d’una legge, la quale poneva termini alle spese de’ conviti e delle nozze: tanto fu il rispetto che gli ebbero alle qualità sue. È bene vero, che nello esequire una congiura contro alla patria, vi è difficultà più, e maggiori pericoli, perché rade volte è che bastino le tue forze proprie conspirando contro a tanti; e ciascuno non è principe d’uno esercito, come era Cesare o Agatocle o Cleomene, e simili, che hanno ad un tratto e con le forze loro occupato la patria. Perché a simili è la via assai facile ed assai sicura, ma gli altri, che non hanno tante aggiunte di forze, conviene che facciano le cose, o con inganno ed arte, o con forze forestiere. Quanto allo inganno ed all’arte, avendo Pisistrato ateniese vinti i Megarensi, e per questo acquistata grazia nel popolo, uscì una mattina fuora, ferito, dicendo che la Nobilità per invidia lo aveva ingiuriato, e domandò di potere menare armati seco per guardia sua. Da questa autorità facilmente