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Pagina:Dolce - L'Ulisse.djvu/25

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PRIMO 11


E forse ancor me Stesso finalmente
     Consumeranno, e smembreranno un giorno.
     Pallade,che gran duol di queslo sente,
     Certo dice hai bisogno del ritorno
     D’Vlisse, il qual saria solo possente
     Di levar questo danno, e questo scorno
     E questa temeraria empia licenza
     Subito nel mostrar la sua presenza.

Ch’io l’ho veduto, e conosciuto tale,
     Che sperar non si può minor effetto.
     Ma tal cura haverà Giove immortale,
     Il cui secreto è nel suo santo petto
     Hor m’ascolta, che quanto puote, e vale,
     (che puote, e vale assai) nostro intelletto,
     Io ti darò con se, figlio un consiglio,
     Che buon sarà, se tu vi dai di piglio.

Chiedi à i Prencipi Greci il dì seguente
     Vna gratia honestissima, e l’havrai,
     Che questa temeraria avara gente
     Faccian sgombrar de la tua casa homai.
     E se tua madre havesse nella mente
     Di maritarsi, ch’io no’l credo mai,
     Vada à casa del padre, ch’è signore
     Ricco, e fu sempre cavalier d’honore.

E ciascun, che la vuol, la chieggia’à lui;
     Ch’à lui si fatto officio,si conviene:
     Et egli à lei de’ larghi beni sui:
     Farà la dote à Strette mani, ò piene:
     E cosi lascieran la roba altrui,
     Eleuaranti di molesie, e pene.
     Poi ch’ottenuta tal dimanda havrai,
     Un’altra cosa figlio anco farai.

Vo, ch’in ordine metti un tuo legnetto
     Di quanto al navigar bisogno sia,
     E che te’n vadi à ritrovar l’aspetto
     Di Nestore per breve, e dritta via.
     E dimanda del padre à quel perfetto
     Vecchio, ch’egli potrà dartene spia:
     Poi vanne à Menelao, ch’ultimo fue
     A’ ritornar à le contrade sue.

E se tu intenderai de la sua vita,
     E parimente del ritorno ancora;
     Sia da te la tristezza dipartita,
     Che ti travaglia, e ti consuma ogni hora,
     Ma s’udirai, ch’ei l’habbia homai finita
     Fa che tornato ne la patria, alhora
     Gli facci quelle essequie, e quell’honore,
     Che si convien à un tanto genitore.

E se questi, che vogliono ottenere
     La tua honorata madre per consorte
     Verran di nuouo à farti dispiacere
     Ne le tue case, ò non aprir le porte
     Ò con inganni, come egli è douere,
     Tenta di gastigarli, e dar lor morte.
     Ma che’l facci scoverto, over con arti
     Homai non dei fanciul più dimostrarti .

Non odi tu, si come vien lodato
     L’ardito Oreste, che la vita tolse
     A colui, che di vita havea privato
     Il suo gran padre, e come à tempo il colse
     Ate conviene ancor mostrarti grato
     Al tuo, cui di ben far giamai non dolse:
     E cercar d’acquistarti alcuna loda,
     Acciò il tuo nome in tutta Grecia s’oda,

Ma ben ti torno à dir quel, ch’io dicea,
     Ch’io stimo, ch’ei sia vivo, e mi diletta:
     Ma tempo è, ch’io ritorni à la Galça,
     Che forse troppo d lungo ella m’aspetta:
     Fra tanto ti conforta, e ti ricrea,
     Et il mio buon consiglio adempi in fretta:
     Et haggi cura di te Steffo, poi
     Ch’altro non è, ch’attenda à beni tuoi.

La Dea ringratia il buon figliuol d’Ulisse,
     Non sapendo, che Dea fosse altrimente
     E pur volea, che pria che fi partisse
     Accettasse un leggiadro suo presente.
     Che tornerebbe un’altra volta, disse
     Pallade, e ne farebbe pārimente
     Un’altro à lui, che non saria men degno,
     E finse al fin di ritornarsi al legno.