Pagina:Don Chisciotte (Gamba-Ambrosoli) Vol.1.djvu/121

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capitolo xiii. 103

da viaggio, con tre servitori a piedi. Quando furono insieme, reciprocamente si fecero cortesi saluti; domandaronsi a vicenda a qual parte fossero diretti, e poichè tutti si avviavano al luogo del funerale, procedettero in numerosa compagnia. Uno di quelli ch’era a cavallo, parlando col suo compagno, disse: — Parmi, signor Vivaldo, che sarà bene impiegato il tempo che occuperemo in assistere a questo famoso mortorio; chè tale sarà certamente considerando quello che ci hanno detto cotesti uomini delle tanto straordinarie cose toccanti sì il pastore defunto come la pastorella omicida. — Sono io pure dello stesso avviso, rispose Vivaldo, e vi assicuro che a tal oggetto consacrerei, occorrendo, ben quattro giorni non che uno solo. Domandò loro don Chisciotte che cosa aveano inteso di Marcella e di Grisostomo; e quel medesimo viaggiatore rispose che incontratisi quella mattina in alcuni pastori, e chiestili della cagione di quel funereo abbigliamento, uno di essi avea raccontata la stravaganza e la bellezza di una pastorella, nominata Marcella, e gli amori di molti che la vagheggiavano, con la morte di quel Grisostomo che recavansi a veder sotterrare. Infine egli replicò il racconto fatto prima da Pietro a don Chisciotte.

Da questo passarono ad altro discorso, chiedendo colui che si chiamava Vivaldo a don Chisciotte, perchè andasse armato a quella foggia in sì pacifica terra. A cui don Chisciotte rispose: “La professione a cui mi son dato non mi consente nè mi permette di vestire altrimenti. Il passo agiato, i piaceri, il riposo sono fatti soltanto pei dilicati cortigiani; ma il travaglio, la inquietudine e l’arme s’inventarono e sono proprie di quelli che vengono chiamati dal mondo cavalieri erranti, de’ quali io, benchè indegno, sono il minore di tutti„. Non l’ebbero appena sentito parlare in questo modo che lo tennero per uomo scemo; e per accertarsene maggiormente e conoscere il genere della sua pazzia, tornò a domandargli Vivaldo che cosa fosse un cavaliere errante.

“Non hanno le signorie loro, rispose don Chisciotte, letto mai gli annali e le storie d’Inghilterra, che narrano le celebri imprese del re Arturo, comunemente nel nostro volgare castigliano chiamato il re Artus? il quale è tradizione universale in tutta la gran Brettagna che non morì, ma che per arte magica fu convertito in corvo, e che risalendo col volger dei tempi sul trono riprenderà il suo scettro? E in prova di questo non si è mai dato il caso che nessun Inglese dopo d’allora uccidesse un corvo1. Al tempo dunque di

  1. Nel capitolo XCIX del romanzo di Splandiano raccontasi che la fata Morgana, sorella del re Arturo, lo tiene nascosto per incantesimo; ma che senza fallo tor-