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capitolo xiii. 115


tevole della vedova tortorella, il sinistro canto del gufo, e i tristi suoni di tutta la negra falange infernale,

“Escano fuori con la dolente mia anima commisti fra loro in tal suono, che tutti i sentimenti ne rimangano confusi: poichè a far conoscere l’affanno che mi strazia, ho bisogno d’insoliti modi.

“A questi suoni così misti e confusi non faranno eco nè le dorate sabbie del Tago, nè gli uliveti del famoso Beti; bensì sulla cima delle alte roccie e nei profondi burroni si stenderanno i miei lamenti con morta lingua, ma con vive parole;

“Ovvero in oscure valli o per aride piagge prive d’ogni umana conversazione, e dove il sole non mostrò mai la sua luce, o fra la velenosa moltitudine di fiere che vivono nelle sterminate pianure.

“E mentre pei selvaggi deserti l’eco ripeterà i miei affanni e il tuo rigore, che non ha pari nel mondo, per qualche mercede alla breve mia vita s’andran diffondendo su tutta quanta la terra.

“Il disprezzo uccide; il sospetto o vero o falso abbatte la pazienza; la gelosia uccide con più forte rigore; una lunga assenza è grande pena; e contra il timore dell’obblio non è scudo nessuna speranza di migliore destino.

“In tutto questo è certa inevitabile morte; ma io (inudito prodigio!), io vivo geloso, spregiato, assente e certo di quei sospetti che mi uccidono, e nell’obblio dove si ravviva il mio fuoco.

“E in mezzo a così gran numero di tormenti non giunge il mio sguardo a vedere pur l’ombra della speranza; nè io disperato me ne do alcun pensiero: anzi, per viver sempre nel mio dolore, giuro di tenermi sempre lontano da lei.

“Potrebbe mai l’uomo nel tempo stesso sperare e temere? o saria dunque buon consiglio sperare mentre le cagioni di temere sono più che mai certe?

Quando la dura gelosia mi sta dinanzi, potrei io forse chiudere gli occhi, mentre io la veggo a traverso di mille ferite aperte nell’anima mia?

“Chi non aprirebbe le porte alla disperazione quando vede scopertamente l’indifferenza altrui, e i sospetti (oh amaro convincimento!) convertiti in fatti veri, e la limpida verità cambiata in menzogna.

“O gelosia, fiera tiranna del regno d’amore, armami di ferro le mani; dammi, o dispregio, una corda. Ma oimè! che con crudele vittoria la vostra rimembranza soverchia il mio patimento.

“Or finalmente io muoio, e per non avere alcuna speranza di felicità nè in vita nè in morte, voglio persistere ne’ miei pensieri.

“Dirò che non s’inganna chiunque ben ama; e che quell’anima è libera sopra le altre, la quale è più schiava d’amore.