Pagina:Don Chisciotte (Gamba-Ambrosoli) Vol.1.djvu/15

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da accrescer in qualche modo le scarse sue rendite lo persuasero dopo il matrimonio a ripigliare gli studi per tanti anni negletti, e scrisse alcune opere teatrali che lungamente perdute, e poi in parte trovate, non corrispondono nè all’altezza di tanto ingegno, nè alla compiacenza con cui il Cervantes stesso ne parla. La grande riputazione acquistata da Lope de Vega, che con prodigiosa fecondità empiè dalle sue produzioni tutti i teatri spagnuoli, tolsero al Cervantes i proventi che si procacciava per questa via. Bisognò dunque cercarsi un qualche impiego, e ottenne di essere uno dei quattro commissarii che sotto gli ordini di Antonio de Guevara doveano vettovagliare l’invincibile armada. Per dieci anni stette a Siviglia in siffatte occupazioni tanto sconvenienti al suo ingegno, e tanto discordi dalle sue inclinazioni. Pur fu in quegli anni che il Cervantes compose le sue Novelle, le quali dopo il Don Chisciotte sono tenute le sue migliori produzioni.

Quando nel 1596 egli uscì di quell’impiego che già si poteva considerare come una sventura per lui, la fortuna gli apparecchiò una sventura molto più grave. Accusato di essersi appropriato il pubblico danaro, fu tenuto prigione, e benchè provasse evidentemente la sua innocenza, nondimeno si trova che anche alcuni anni dopo fu nuovamente processato per la miserabile somma di duemila seicento quarant’uno reali.

I biografi non ci danno la notizia del Cervantes dal 1598 al 1603, in cui dopo il secondo processo, riconosciuto innocente, andò alla corte di Filippo III in Vagliadolid; se non che in quel periodo di tempo s’accordano a dire ch’egli compose quasi intieramente la prima parte del Don Chisciotte; e credono che passasse quegli anni in qualche borgo della Mancia, della quale descrisse così bene e i luoghi e i costumi nel suo famoso romanzo. Egli dice nel Prologo che quel suo libro, quel figlio del suo intelletto, fu generato in una prigione; ma quando, o perchè soggiacesse a tal prigionia è cosa tuttora ignorata.

Quando dopo tutte queste peripezie il Cervantes nel 1603 comparve alla corte, cioè alla residenza del re, si trovò come in paese straniero, non conosciuto nè dal principe nè dai suoi favoriti: i vecchi amici erano o morti o dispersi; egli già quasi vecchio mal poteva sperare di procacciarsene di nuovi. Il duca di Lorena, potentissimo a quella corte, lo ricevette orgogliosamente; ed egli dopo d’allora si rassegnò a vivere nella mediocrità coi proventi dell’ingegno e di qualche amministrazione di affari, e coi soccorsi di due protettori, il conte di Lemos e l’arcivescovo di Toledo.

Nel principio del 1605 pubblicò la prima parte del Don Chisciotte. Sulle prime non fu compreso, ma egli medesimo diede fuori col titolo di Buscapiè un libretto anonimo, dove sotto l’apparenza di una censura fece conoscere il vero scopo del libro e le sue allusioni. Allora tutti vollero leggerlo, e fu ristampato ben quattro volte nello stesso anno 1605. Se l’invidia non lasciò illeso l’autore di un’opera divenuta tanto famosa, poteva nondimeno il Cervantes, in quanto alla gloria, contentarsi dell’esito; ma non erano ancora finite le sventure che dovevano amareggiargli la vita. La notte de’ 26 giugno di quel medesimo anno, un cavaliere, don Gaspare de Espeleta, ferito da uno sconosciuto, si ricoverò nella casa dove abitava il Cervantes, e quivi morì. Fu creduto che all’uccisione avesse dato origine un intrigo amoroso colla figlia o con una nipote del Cervan-