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132 don chisciotte.


— Non ci mancherebbe altro, soggiunse Sancio; e prorompendo con trenta ahi, con sessanta sospiri, e con cento e venti invettive ed imprecazioni contro chi a tale lo aveva condotto, si alzò, ma rimase alla metà dell’impresa gobbo gobbo, come un arco turchesco, senza che gli potesse riuscire mai di raddrizzarsi bene. Ad onta di tanto travaglio mise all’ordine il suo asino, ch’era sviato alquanto mercè la rovinosa libertà di quel giorno. Fece pure che si levasse Ronzinante, il quale se avesse avuto lingua per querelarsi non avrebbe risparmiato sicuramente nè Sancio nè il suo padrone. Finalmente, Sancio accomodò don Chisciotte sopra l’asino, fece precedere Ronzinante, e guidando la bestia per il capestro si diresse poco più poco meno, dove gli sembrava essere la strada maestra: e la sorte, che andava guidando di bene in meglio le cose loro, dopo il viaggio appena di una lega gli scoperse dinanzi un’osteria che a suo dispetto, ma per soddisfazione di don Chisciotte dovea essere un castello. Persisteva Sancio a dirla un’osteria, e il suo padrone un castello; e tanto durò la controversia che vi giunsero prima d’averla terminata, e vi entrò Sancio, senz’altro contrastare, con tutto l’accompagnamento.