Pagina:Don Chisciotte (Gamba-Ambrosoli) Vol.1.djvu/165

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capitolo xvii. 147

o Sancio, che tanto male ti avvenga per non essere tu armato cavaliere; giacchè stimo che questo licore non sia punto giovevole a coloro che tali non sono. — Se vossignoria sapeva questo, replicò Sancio, (venga il malanno a me e a’ miei parenti), perchè consentì ella ch’io ne ingoiassi?„ Ma intanto la bibita diventò operativa, e cominciò il povero scudiere a versare da amendue i canali con sì gran precipizio che se ne imbrattarono la stuoja su cui giaceva e il canovaccio con cui si copriva. Sudava e trasudava con tali parosismi e accidenti che pareva prossimo a uscire di questa vita. Durò tanta burrasca quasi due ore; nè si trovò poi nel ben essere del suo padrone, ma sì fracassato e pesto da non potersi reggere in piedi.

Don Chisciotte sentendosi, come si è detto, alleggerito e sano, divisò di partire in traccia di avventure, sembrandogli che ogni indugio fosse tempo tolto al bene del mondo e di quelli che aveano bisogno del suo favore e della sua difesa; e più lo animava allora la provata efficacia del suo balsamo. Vinto adunque da un tal desiderio, sellò egli stesso Ronzinante, e mise la bardella al giumento del suo scudiero, cui pure prestò assistenza per vestirsi e montar sulla bestia. Salì poscia a cavallo, ed accostatosi ad un angolo dell’osteria, ne tolse una pertica, pensando di servirsene in vece di lancia. Stavanlo guardando quanti si trovavano in quel luogo, ch’erano da più di venti persone, e gli tenea gli occhi addosso anche la figliuola dell’oste, ed egli pure miravala fisamente traendo di tanto in tanto un sospiro che parea gli uscisse dal profondo delle viscere, ciò che ascrissero i circostanti al dolore che doveva sentire nelle costole, a giudizio almeno di quelli che lo aveano veduto tutto impiastrato la notte innanzi. Montati ambedue a cavallo, mettendosi don Chisciotte sulla porta dell’osteria, chiamò l’oste, e con voce riposata e grave, gli disse: — Molti e molto grandi, signor castellano, sono i favori che ho ricevuti in questo vostro castello, e ve ne resterò obbligatissimo per tutto il corso della mia vita, e se posso compensarvene col vendicarvi di qualche superbo che vi abbia fatto alcun torto, voi già sapete che il debito mio è di sostenere i deboli, di vendicare le ingiurie e di punire i temerarii. Badate se avete che comandarmi in tale proposito, e basterà una vostra parola, ch’io vi prometto, per l’ordine di cavaliere da me ricevuto, di rendervi soddisfatto e compensato a vostro intero piacere„. L’oste gli rispose con altrettanto contegno: — Signor cavaliere, non ho bisogno d’impegnare vossignoria a vendicare verun mio torto, poichè, occorrendo, lo so fare da me medesimo; bensì ho bisogno ch’ella mi paghi del guasto fatto la scorsa notte nella mia osteria, e così pure della paglia e della biada somministrate alle sue bestie, come ancora della cena e del letto. — Osteria si è questa? replicò don Chisciotte.