Pagina:Don Chisciotte (Gamba-Ambrosoli) Vol.1.djvu/171

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capitolo xviii. 153

gesse cavaliere al mondo, e che oltre alle qualità che ti ho narrate tagliava come un rasoio, nè v’avea armatura, fosse pur quanto si vuole incantata e forte, che le resistesse. — Io sono fortunato per modo, disse Sancio, che quand’anche ciò fosse, e riuscisse alla signoria vostra di avere una spada siffatta, si troverebbe poi ch’essa gioverebbe solo ai cavalieri armati, come avvenne del balsamo; e gli scudieri se n’anderebbero tuttavia alla malora. — Non temere di questo, replicò don Chisciotte, che il cielo non sarà teco sì rigoroso„.

Andavano viaggiando don Chisciotte e il suo scudiere intrattenendosi in questi discorsi, quando don Chisciotte vide che sulla strada da loro battuta veniva un grande e folto polverio; laonde volto a Sancio, gli disse: “Quest’è il giorno, o Sancio, in cui s’ha da conoscere a qual bene mi riserba la sorte; il giorno è questo in cui più che in ogni altro ha da risplendere il valore del mio braccio, ed in cui ho da operare meraviglie degne di essere registrate nel libro della fama pei secoli tutti avvenire. Vedi tu, o Sancio, quel polverio che colà si solleva? Sappi che dentro vi è chiuso un esercito poderosissimo, composto di varie nazioni e di gente innumerabile venuta da diverse parti. — Se questo è vero, saranno due eserciti, replicò Sancio; perchè anche dalla parte

    fuoco. Ma pare che don Chisciotte volesse qui alludere ad Amadigi di Gaula, detto il cavaliere della spada verde, giacchè parla di una spada reale.


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