Pagina:Don Chisciotte (Gamba-Ambrosoli) Vol.1.djvu/245

Da Wikisource.

capitolo xxiv. 227

racconto delle mie disavventure; perchè il richiamarle alla memoria non fa altro che aggiungere peso a peso: quanto meno m’interrogherete, tanto più presto io giungerò al fine; ma vi assicuro però che non lascerò di riferirvi ogni cosa che importi per soddisfare compiutamente la vostra curiosità„. Glielo promise don Chisciotte in nome di tutti, ed egli di ciò assicurato cominciò nella seguente maniera il racconto:

“Il mio nome è Cardenio, la mia patria una città delle migliori dell’Andalusia, nobile il mio lignaggio, doviziosi i miei genitori, sì grande la mia disavventura, che debbono averne pianto e i genitori e i parenti senza poterne temperare l’amarezza colle loro molte ricchezze; poichè valgono assai poco i favori della fortuna per tener fronte alle sciagure che Dio ci manda. Nella detta provincia trovavasi un cielo in cui amore posta avea tutta la gloria ch’io avessi potuto desiderare: tale si era la bellezza di Lucinda, donzella pari a me nella nobiltà e nelle ricchezze, ma però di me più avventurata, e meno costante di quello si conveniva alle mie onorate intenzioni. Ho amato questa Lucinda, la ho desiderata ed adorata sino dai miei più teneri anni, e fui da lei corrisposto con quella semplicità e con quel buon cuore ch’erano propri dell’età sua. Note ai genitori erano le nostre intenzioni, nè se ne mostravano scontenti; perchè conoscevano che ne sarebbe derivato un maritaggio predisposto già dalla eguaglianza della nostra condizione e delle nostre fortune. Crebbe coll’età l’amore in entrambi, sicchè parve al padre di Lucinda di essere obbligato per molti buoni rispetti a negarmi l’ingresso nella sua casa, imitando così i genitori dell’infelice Tisbe tanto da’ poeti cantata. Una tale proibizione aggiunse fiamma a fiamma, desiderio a desiderio; mentre impose bensì silenzio alle nostre lingue, ma non valse ad impedire il linguaggio della penna; la quale, più libera della voce, suol far conoscere a chi ’l brama ciò che l’animo in sè rinchiude; e tanto più che spesso addiviene che la presenza dell’oggetto amato conturba e infrena la più libera intenzione e la lingua più ardimentosa. Oh, cielo! quanti biglietti non le scrissi io! Quante non ne riportai deliziose ed oneste risposte! Quante canzoni ho composte, e quanti amorosi versi, nei quali l’anima dichiarava e trasfondeva i suoi sentimenti, dipingeva gli accesi suoi desiderj, ricordava le passate cose e ricreava la sua volontà! Finalmente sentendomi struggere e consumare nella brama di vederla, determinai di mettere in opera e compire ad un punto ciò che giudicai necessario per conseguire il premio da me bramato e meritato, chiedendola al padre per legittima mia sposa, siccome feci. Mi rispos’egli che gradiva la mia volontà di ono-