Pagina:Don Chisciotte (Gamba-Ambrosoli) Vol.1.djvu/335

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capitolo xxx. 317

rispose don Chisciotte, guarda, o Sancio, come parli; perchè tante volte torna la gatta al lardo che... di più non dico. — Ho inteso, rispose Sancio; ma il Signore vede gl’inganni, e sarà giudice di chi fa maggior male, o io nel non parlar bene, o vossignoria nel non operarlo. — Basta così, disse Dorotea: or via, Sancio, baciate la mano al vostro padrone, chiedetegli scusa, e siate quind’innanzi meglio avvertito nell’impartire le vostre lodi e i vostri biasimi; nè dite male della signora Dulcinea del Toboso, che non conosco se non per dichiararmele serva, e poi abbiate fidanza in Dio chè non vi mancherà uno stato da viver da principe„. Se n’andò Sancio a capo chino a dire a don Chisciotte che gli porgesse la mano; ei gliela stese con molta gravità, e, presala, la baciò e, baciata che la ebbe, don Chisciotte gli diede la sua benedizione, ordinandogli di appartarsi alcun poco con lui per conferire d’importantissimi affari. Obbedì Sancio, e condottisi in disparte ambedue, don Chisciotte gli disse: — Da poi che ritornasti non ebbi agio di chiederti di molte particolarità intorno all’ambascieria da te eseguita; ma giacchè la sorte ci offre tempo e luogo, non mi toglierai tu il bene che dee in me derivare dalle novelle felici che sarai per darmi. — Domandi vossignoria ciò che brama, rispose Sancio, che saprò dare principio e fine a ogni cosa: ma la supplico, signor mio, di non essere da qui innanzi tanto vendicativo. — Perchè dici tu questo, o Sancio? gli domandò don Chisciotte. — Lo dico, rispose, perchè le bastonate or ora ricevute sono più per la quistione che il diavolo suscitò fra noi nella scorsa notte, che non è per quello che dissi in offesa della signora Dulcinea, ch’è da me amata e venerata come una reliquia, benchè tale non sia, ma per la considerazione ch’ella è cosa tutta affatto della signoria vostra. — Non torniamo, disse don Chisciotte, a cotali cimenti che m’inquietano; io ti ho perdonato frattanto, e sai bene che si suol dire: a nuovo peccato nuova penitenza„.

Mentre si trattenevano in questi discorsi videro venir per la strada da loro battuta un uomo portato da un asino, e quando fu vicino sembrò loro che fosse un zingaro; ma Sancio Panza, che al solo vedere asini sentiva fuggirsegli l’anima dagli occhi, appena vide quell’uomo, e subito riconobbe esser egli Gines di Passamonte, e dal filo del zingaro ritrovò il gomitolo del suo asino, ch’era quel desso cavalcato da Passamonte; il quale per non essere conosciuto e poter vendere l’asino, erasi travestito da zingaro, il cui linguaggio e altre molte cose sapea, come se fosse derivato da quella schiatta. Lo vide Sancio, e il conobbe, e non lo ebbe appena adocchiato e riconosciuto, che sclamò: — Ah Ginesiglio ladrone! rendimi la mia