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396 don chisciotte

signore, si è che, vogliate o non vogliate, io sono vostra sposa. Ne fanno fede le vostre parole, che non sono nè possono essere mendaci, se pur volete poter vantarvi di quella nobiltà per cui mi vilipendete; ne fan fede la vostra sottoscrizione e il testimonio del cielo da voi chiamato ad assistere alle vostre promesse. E dopo tutto questo non tacerà la vostra stessa coscienza, ma vi rimorderà in mezzo al corso dei vostri passatempi, facendovi presenti le verità che vi ho esposte, ed avvelenando ogni vostro contento„.

Queste ed altre ragioni disse l’afflitta Dorotea con tal sentimento e collo spargimento di tante lagrime che fece piangere gli stessi compagni di don Fernando ivi presenti. La ascoltò don Fernando senza interromperla, finchè, terminate le parole, essa cominciò a mandare tanti singhiozzi e sospiri che sarebbe stato cuor di bronzo quello che a vista di sì intenso dolore non ne fosse rimasto intenerito. Lucinda la stava guardando, tocca non meno dall’affanno di Dorotea che maravigliata del suo grande discernimento e della sua bellezza; e cercava di avvicinarsele per dirle qualche parola di consolazione, ma non glielo permettevano le braccia di don Fernando che tuttavia la tenevano stretta. Pieno di confusione e di stupore, dopo avere per buona pezza mirato Dorotea con somma attenzione, egli aprì le braccia, e mettendo in libertà Lucinda disse: “Vincesti, bella Dorotea, vincesti, nè è possibile di resistere a tante virtù che concorrono a difenderti„. Lucinda dopo il sofferto svenimento sarebbe caduta per debolezza quando fu lasciata libera da don Fernando, ma trovandosele a lato Cardenio, ch’erasi messo a tergo di don Fernando, per non essere conosciuto, posposto ogni timore e cimentandosi ad affrontare ogni evento, si prestò a sostenerla, ed accogliendola fra le sue braccia le disse: — Se gradisce e se vuole il pietoso Cielo ch’io possa gustar qualche riposo, o leale, costante ed unica signora mia, non credo che tu possa chiamarti più sicura di quello che sei mentre ti accolgono queste braccia che in altro tempo ti avrebbero stretta quando le necessarie solennità mi avessero dato diritto di chiamarti mia sposa„. A questo discorso fissò Lucinda gli occhi sopra Cardenio, ed avendo cominciato a riconoscerlo prima per la voce e poi per la vista, quasi fuori di sè stessa e senza riguardo ai circostanti se gli gittò colle braccia al collo, ed unendo il suo al viso di lui gli disse: “Voi sì, signore, voi siete il vero padrone di questa prigioniera creatura in onta all’avversa sorte e in onta alle minacce di questa mia vita che solo per voi si sostiene„. Strano spettacolo si fu questo per don Fernando e per tutti gli altri, restando ognuno maravigliato di tanti non immaginati successi. Sembrò a