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capitolo xl. 433

distrutti, le sante anime di tremila soldati salirono vive a migliore soggiorno.


“Avevano prima esercitata invano la forza delle vigorose loro braccia, finchè stanchi e pochi resero la vita sotto la spada.


“Ecco il suolo a cui si attaccano mille ricordanze lagrimevoli de’ secoli andati e del tempo presente.


“Ma non mai dal suo duro seno salirono al cielo alme più pure, nè mai sostenne corpi più valorosi„.


Piacquero i sonetti, e si rallegrò lo schiavo per le nuove ricevute del suo camerata; poi proseguendo il racconto disse: “Pigliata la Goletta ed il Forte, i Turchi diedero commissione che si smantellasse la prima, non occorrendo tal precauzione per l’altro rimasto sì maltrattato da non lasciare quasi più parte alcuna da mandar a terra. Per accelerare questa operazione minarono da tre lati, ma da nessuna parte riuscì loro di far saltare in aria quello che pareva più debole, cioè le vecchie muraglie. Si smantellò con molta facilità quanto era tuttavia in piedi delle nuove fortificazioni fatte dal Fratino1: in fine l’armata tornò a Costantinopoli vincitrice e trionfante, e dopo pochi mesi passò fra gli estinti Ucciali il mio padrone, soprannominato Ucciali Fartax, che significa in lingua turchesca, il rinnegato tignoso, perchè era coperto di tigna; ed è costume dei Turchi di pigliare un soprannome o da qualche loro particolare difetto, o da qualche virtù di cui vadano adorni; e ciò deriva dal non esservi tra loro se non quattro nomi di famiglie le quali discendono dalla casa ottomana, e le altre, siccome ho detto, lo prendono sempre o da virtù o da difetti loro propri. Questo tignoso vogò al remo, schiavo del Gran Signore, pel corso di quattordici anni; pervenuto poi oltre i trentaquattro, per avere comodità di vendicarsi di uno schiaffo ricevuto da un Turco, rinnegò la sua fede. Sì grande fu il suo valore che senza ricorrere ai turpi mezzi ed a quelle indirette vie per le quali i più arrivano ad essere favoriti dal Gran Signore, salì sul trono di Algeri, e poi fu generale di mare, ch’è la terza dignità che si conferisce in quell’impero. Era Calabrese di nazione e buon uomo, trattando con grande umanità i suoi schiavi, che ascesero al numero di tremila; i quali poi, siccome ordinò col suo testamento, andarono ripar-

  1. Fu costui Giacomo Paleazzo al servizio di Carlo V e di Filippo II.

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