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532 don chisciotte.

molti che non sanno; non voglio però sottomettermi all’incerto giudizio del volgo leggiero ch’è per la più gran parte formato dei leggitori di opere di questa fatta. Quello poi che mi fece dimettere assolutamente il pensiere di condurre a termine il mio lavoro fu un ragionamento che feci meco medesimo, nato dalle commedie che oggidì si rappresentano, e dissi: Se quelle che ora sono in pregio, tanto le fantastiche quanto le tratte dalla storia, sono per la maggior parte un ammasso di spropositi e cose senza capo e senza coda, e nondimeno il volgo le gusta e le approva come buone; se gli autori che le compongono, e i recitanti che le mettono in pubblico, sostengono che così dee farsi, perchè così e non altrimenti le brama il volgo; e se quelle nelle quali si ammira una ragionata condotta, conforme l’arte prescrive, piacciono solo ad alquanti intelligenti, mentre gli altri tutti non si trovano al caso di conoscerne l’intrinseco merito; in conseguenza di tutto ciò anche il mio libro verrebbe considerato una superfluità dopo che mi sarei bruciate le ciglia per attenermi ai riferiti precetti, e avrei gettato tempo e fatica. Benchè siami accinto talvolta di persuadere agli attori che s’ingannano nella loro opinione, e che maggiore sarà il concorso esponendo commedie composte secondo le regole dell’arte, anzichè spropositate, pure li ho ritrovati tanto ostinati e insistenti nella loro opinione che niun argomento, per evidente che fosse, sarebbe valso a farli cangiare di proposito. Sovvienmi che parlai un giorno ad uno di questi pertinaci in tal modo: Ditemi di grazia, non vi ricordate che, pochi anni sono, si consegnarono alle scene di Spagna tre tragedie composte da un famoso poeta di questi regni, che furon ammirate da quanti le udirono, tanto semplici come dotti, tanto nobili come plebei, e produssero più danari ai commedianti quelle tre sole che trenta delle migliori che d’allora in qua si sieno mai recitate? — Vossignoria certamente, soggiunse l’attore con cui io parlava, intende rammentare la Isabella, la Fillide e l’Alessandra1. — Queste appunto, io replicai; e considerate bene s’erano in esse osservati i precetti dell’arte, e se, attesa la loro regolarità, mancassero di effetto e di riuscire ben gradite dal pubblico. Il difetto non istà dunque nel volgo che dimandi spropositi, ma in quelli che recitare non sanno altra cosa: non fu sproposito la Ingratitudine vendicata, nè la Numanzia, nè lo furono il Mercadante innamorato, nè la Nemica favorevole, come ancora alcune altre commedie composte da giudiziosi poeti con gloria del nome loro, e guadagno di quelli che le hanno eseguite. Ag-

  1. Ne fu autore Lupercio Leonardo de Argensola. La Fillide andò perduta.