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quello che fosse di mio volere; e facendo le cose di mia volontà, farei quello che mi piacerebbe; e facendo quello che mi piacerebbe, io mi troverei uomo contento; trovandomi uomo contento, non mi resterebbe cosa da desiderare; e non restandomi cosa da desiderare, non occorre altro: venga lo Stato e addio e a rivederci, come disse quel cieco all’altro che non ci vedeva.

— Questa non è cattiva filosofia, come voi dite, o Sancio, replicò il canonico; con tutto ciò vi sarebbe molto da dire intorno a queste contee„. Soggiunse allora don Chisciotte: — In somma io non saprei che cosa più occorrere possa, e mi rimetto all’esempio del grande e non mai abbastanza lodato Amadigi di Gaula, che fece conte dell’Isola Ferma il suo proprio scudiere. Per i meriti stessi posso ben io senza scrupolo di coscienza eleggere conte Sancio Panza, ch’è uno dei migliori scudieri che mai vantasse cavaliere errante„. Restò attonito il buon canonico dei regolari spropositi (se gli spropositi aver possono regolarità) che don Chisciotte avea detto; del modo con cui avea dipinta la ventura del cavaliere del Lago; della impressione fatta in lui dalle menzogne dei libri che aveva letti: lo rendevano poi stupito soprattutto le sciocchezze di Sancio, che con tanto coraggio desiderava di pervenire alla contea promessagli dal suo padrone.

Ma erano già di ritorno colla vettovaglia i servitori del canonico, i quali aveano condotto le cavalcature all’osteria per riposare. Apprestaronsi le tavole, o per meglio dire si distese un tappeto sopra la verde erbetta del prato, dove si assise la brigata all’ombra degli