Pagina:Don Chisciotte (Gamba-Ambrosoli) Vol.1.djvu/585

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capitolo li. 567

lezza, chi maledice la sua indole; in fine tutti la detestano e tutti l’adorano, e tanto distendesi la follia che v’ha chi si sdegna di lei senz’averle parlato mai, e chi si lamenta e prova la rabbiosa infermità della gelosia. Non avvi cavità di rupe o margine di ruscello, od ombra di arbore non occupati da qualche pastore che racconta ai venti le sue sventure; l’eco, dovunque può, ripete il none di Leandra; Leandra risuonano le montagne; Leandra vanno mormorando le fonti; e Leandra ci ha tutti incantati, aspettando senza speranza, e temendo senza conoscere la cagione del nostro timore. Tra tanti ubbriachi di amore quello che meglio di ogn’altro si conduce e che spiega buon giudizio è il mio rivale Anselmo, il quale avendo tante ragioni di lamentarsi, duolsi però unicamente della lontananza, e al suono di un ribechino, che gli risponde per eccellenza, esprime le sue querele con versi nei quali mostra il felice suo ingegno. Io mi appiglio ad un più agevole partito, e a parer mio più sicuro, ed è quello di condannare la leggierezza delle donne, la loro incostanza, le loro vuote promesse, e finalmente il poco loro discernimento nell’eleggere a cui debbano volgere i desiderii e gli affetti. Questi miei sensi hanno dato cagione, o signori, alle parole ch’io indirizzava alla capra accorsa fra voi, la quale, siccome femmina, poco si può stimare, benchè sia la migliore del mio gregge. Sarò stato troppo prolisso nel mio racconto, ma non sarei corto in servirvi se vi piacesse di arrivare alla mia capanna, ch’è qua vicina, dove potrò offerirvi fresco latte e cacio saporito, con varie e mature frutte non meno alla vista che al gusto assai dilettose„.