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capitolo xxxii | 295 |
dano, ed esigono altri argomenti; e certamente egli è un oltrepassare i confini della discreta riprensione il farla in pubblico e sì aspramente. I buoni consigli si fondano sulla piacevolezza e non sul rigore insopportabile; nè certo è ben fatto che si accusi di pazzo e di balordo quel tale che si crede in difetto, se non si conosca bene di che difetto si tratta. E che ciò sia vero, dicami vossignoria, quali sono le follie che in me ha veduto per segnare la mia condanna e per vituperarmi col trarre la conseguenza e il comando che io torni al buon governo di casa mia, di mia moglie e dei figliuoli senza sapere neppure se io abbia e casa e moglie e figli? Diremo noi che sia un retto procedere lo entrare all’impazzata nelle case altrui a governare i padroni, e poi per avere data quella misera educazione che può darsi ad un pupillo, colle viste di un basso e vile interesse e senza avere veduto di tutto il mondo più che venti o trenta leghe, alzar cattedra arrogantemente per dare leggi alla cavalleria e per giudicare dei cavalieri erranti? Sarebbe per ventura inutile assunto o tempo male impiegato quello che si consuma in vagare per il mondo, non già cercando le delizie che dare potrebbe, ma sì bene le asprezze per mezzo delle quali si alzano i buoni al seggio della immortalità? Se mi tenessero per insensato i cavalieri, i potenti, i generosi, quelli di alti natali, io lo avrei per irreparabile affronto; ma nulla io valuto l’essere tale considerato dai saccenti che mai non calcarono i sentieri della cavalleria. Cavaliere son io, e cavaliere morrò se piaccia all’Altissimo. Vanno taluni per gli spaziosi campi della superba ambizione, altri per quelli dell’adulazione bassa e servile, altri per quelli della ingannevole ipocrisia, e pochi per quelli della vera carità; ed io, guidato dalla mia stella, batto l’angusto calle della errante cavalleria pel cui esercizio ho in ispregio le ricchezze e tengo nel massimo conto l’onore. Ho vendicato ingiurie, ho drizzato torti, punito temerità, vinto giganti, abbattute fantasime; sono innamorato, ma non per altro se non perch’è giocoforza di esserlo ai cavalieri erranti, ed essendolo non entro nel novero degl’innamorati viziosi, ma dei platonici continenti; sono poi diretti sempre a buon fine i miei divisamenti, che l’altrui bene hanno in veduta, nè pregiudicano alcuno. Se colui che pensa in tal modo, se colui che così opera, se colui che in questo si esercita può chiamarsi balordo, lo dicano le grandezze vostre, duca e duchessa eccellenti„.
— Parla ottimamente, disse Sancio, e non dica altro la signoria vostra, signore e padrone mio, chè già non vi è altro da dire per più accreditarsi, nè altro da pensare: e tanto più quantochè negando questo signore, come ha negato, che vissuti sieno al mondo o che