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capitolo xxxiii | 311 |
e con un dito sulle labbra girò per la sala, alzandone qua e là gli addobbi, il che fatto tornò a sedere e poi disse: — Ora, signora mia, che mi sono assicurato di non essere inteso da alcuno che possa essersi cacciato qua di soppiatto, risponderò senza timore nè angoscia a quanto la signoria vostra mi ha dimandato o fosse per dimandarmi. Comincio dal dire che tengo il mio signor don Chisciotte per un pazzo assoluto e spacciato, sebbene dica alle volte certe cose che al parer mio e di quelli che lo ascoltano sono tanto giudiziose e tanto bene ordinate, che il diavolo non le potrebbe dir meglio. Ma ad onta di tutto questo con verità e senza scrupolo io insisto a credere ch’egli sia uno scimunito; e persuaso di questo, all’uopo, mi basta l’animo di dargli ad intendere cose che non hanno nè piede nè capo come fu la risposta della lettera, e quello che accadde sei od otto giorni sono (e che non è noto ancora) vale a dire l’incantamento della mia signora donna Dulcinea; la quale egli sulla mia asserzione crede che sia incantata, il che è vero come la montagna di Ubeda„.
Lo pregò la duchessa che le narrasse l’istoria di quell’incantesimo o burla, e Sancio le fece il racconto esatto dell’avvenuto, di che non ebbero picciolo diletto le ascoltatrici. Proseguendo nel suo discorso, disse la duchessa: — Le cose che mi ha raccontate il buon Sancio mi