Pagina:Don Chisciotte (Gamba-Ambrosoli) Vol.2.djvu/35

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capitolo ii. 25

per disteso ciò che intorno a tale proposito ti giunse all’orecchio, e senz’alterazione alcuna sì in bene che in male, dovendo i fedeli vassalli dire la verità ai loro padroni con perfetta schiettezza, senza ombra di quella cortegianeria che accresce o diminuisce le cose per vani rispetti. Voglio che tu sappia, Sancio mio, che se agli orecchi dei principi giungesse la verità ignuda e senza il manto dell’adulazione, questi sarebbero altri secoli, e le passate età verrebbero reputate di ferro in confronto della nostra, sicchè potremmo dire che viviamo nell’età dell’oro; e valgati, o Sancio, questo avvertimento, perchè limpidamente e colla più retta intenzione tu abbia a farmi sapere in tutta la purità le cose che sai, e che ti ho dimandate. — Adempirò ben volentieri i suoi comandi, signor mio, rispose Sancio, a condizione però che non debba vossignoria sdegnarsi della mia relazione, poichè ella vuole ch’io dica le cose nude nude, senza aggiungere panni che le ricoprano. — Oh non mi adonterò in modo alcuno, rispose don Chisciotte, e tu ben puoi, Sancio, liberamente parlare senza giri viziosi di espressioni figurate. — Dico dunque per primo capo, Sancio soggiunse, che il volgo tiene vossignoria per un solennissimo matto, e tiene me, non che altro, per uno stolido. Gl’idalghi sono tutti d’accordo a protestare che non si contiene vossignoria nei confini della sua condizione, e che si ha arrogato il Don, e si è fatto cavaliere con poche viti e pochi solchi di terra, e con uno straccio dinanzi e un altro di dietro. Dicono i cavalieri che spiace loro che gl’idalghi attentino alla

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