Pagina:Don Chisciotte (Gamba-Ambrosoli) Vol.2.djvu/491

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capitolo liii 481

smanie penetrarono dentro il mio cuore.„ Intanto che stava dicendo questa e simili cose, attendeva a imbardellare la bestia senza che alcuno gli dicesse sillaba. Finì quella operazione, e con fatica e con istento vi montò sopra; poi drizzando la parola al maggiordomo, al segretario, allo scalco e al dottore Pietro Rezio, non meno che agli altri tutti che quivi erano, disse: — Fatemi largo, signori miei, e lasciatemi ritornare all’antica mia libertà: lasciatemi andar a cercare la mia vita passata affinchè io risusciti da questa morte presente: io non son nato per esser governatore, nè per difendere isole, nè città dai nemici che le vogliono prendere d’assalto: io m’intendo più dell’arare, del zappare, del potare e del propagginare le vigne, che di dare leggi e difendere regni e province. Bene sta san Pietro in Roma: e voglio dire che ognuno sta bene nell’officio pel quale è nato, e meglio sta a me una sega in mano che uno scettro di governatore: voglio piuttosto satollarmi di pane molle con olio, aceto e sale, che stare soggetto alla miseria di un medico impertinente che mi faccia morire di fame; piuttosto voglio starmene nell’estate sotto l’ombra di un faggio, e coprirmi di sacco nell’inverno, ma in piena libertà, che dormire coi sospetti di un governo, ravvolto in lenzuola d’Olanda e vestito di pelliccie. Le signorie vostre restino con Dio, e dicano al duca mio signore che nacqui ignudo, che ignudo adesso mi trovo, nè ho perduto, nè

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