Pagina:Don Chisciotte (Gamba-Ambrosoli) Vol.2.djvu/641

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capitolo lxxii 631

Dio che io valessi a disincantarla col darmi altre tremila e tante frustate, chè me le darei senza alcuno interesse. — Non so quello che voi vogliate dire di frustate,„ disse don Alvaro; e Sancio rispose ch’era cosa lunga da raccontare, ma che gli avrebbe detto tutto se fossero andati insieme per la stessa strada.

Giunse frattanto l’ora del pranzo, nel quale si fecero compagni don Chisciotte e don Alvaro, e mentre desinavano giunse per caso il giudice del comune nell’osteria con un notaio. Al cospetto di esso giudice fece don Chisciotte una dimanda di tutta equità, la quale era che don Alvaro Tarfe, ivi presente, dichiarasse dinanzi a sua signoria che conosceva quel don Chisciotte della Mancia, ch’era ivi presente, ma ch’era diverso da quello che si andava stampando in una storia intitolata: Seconda Parte di don Chisciotte della Mancia, composta da un tale Avelloneda nativo di Tordesiglias. Il giudice provvide giuridicamente, ed il notaio fece la dichiarazione colle forme. Rimasero allora molto lieti don Chisciotte e Sancio, come se quella dichiarazione fosse cosa per loro di somma importanza onde mostrare con ogni chiarezza la differenza fra i due don Chisciotti e i due Sanci, fra le loro opere e le loro parole.

Si fecero molti complimenti ed offerte tra don Alvaro e don Chisciotte, ed il gran Mancego mostrò la sua saggezza cavando don Alvaro dall’errore in cui stava, e facendogli credere di essere stato incantato, poichè toccava palpabilmente due don Chisciotti sì diversi l’uno dall’altro. Venne la notte, partironsi da quell’osteria, ed alla distanza di mezza lega presero due differenti strade, l’una che menava alla patria di don Chisciotte, l’altra che era quella intrapresa già da don Alvaro. Nel breve spazio di iempo che furono in compagnia, don Chisciotte confessò la disgrazia della sua disfatta e l’incanto e ’l rimedio di Dulcinea: cose tutte che accrebbero l’ammirazione in don Alvaro, il quale, abbracciati don Chisciotte e Sancio, seguitò la sua strada. Don Chisciotte consumò la vegnente notte fra gli alberi, per dar campo a Sancio di compire la sua penitenza, che la terminò nel modo stesso della notte antecedente, più a spese delle cortecce dei faggi che delle sue spalle, le quali custodì con gelosia tale che le frustate non avrebbero potuto cacciare una mosca se vi si fosse posta. L’ingannato don Chisciotte non isbagliò nel conto di un solo colpo, e trovò che con quelle dell’altra notte sommavano tremila e ventinove. Pare che il sole avesse anticipato il suo nascere per essere testimonio di quel sagrifizio, ed alla sua luce, ripreso il cammino, padrone e scudiere ragionavano insieme sull’inganno di don Alvaro e molto