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160 i marmi - parte prima


Poeta forestiero, e Gozzo tavernieri.

Poeta. La sta cosí come io v’ho detto; per altro, non son venuto in questa terra che per farmi dichiarare un libro che io ho fatto.

Gozzo. Credetti che voi fusti venuto per ber trebbiáno, tanto vi piace; voi non vi partite mai da bomba; chi vi vedessi sempre alla mia taverna non direbbe altrimenti, o che voi fussi un colombo di gesso.

Poeta. Tu favelli a punto come il mio libro.

Gozzo. Ditemi: il vostro libro, come l’avete fatto voi e non l’intendete?

Poeta. Scritto, scritto, vo’ dire, copiato di qua e di lá. Sa’ tu lèggere?

Gozzo. Messer sí.

Poeta. Oh! tu mi dovresti saper di ciò che egli rilieva in lingua tosca.

Gozzo. Non so di lingue o di bocche: fate che io oda cotesta vostra fantasia; forse che io ve ne saprò dichiarare un buon dato. Oh che libraccio grande! egli ve ne debbe esser quelle quattro!

Poeta. Pensa tu, egli è piú di tre anni che io non fo altro che scrivere scrivere.

Gozzo. E a un bisogno avete fatto come la coda del porco.

Poeta. Sempre tu. Di’ qualche cosa del mio libro: egli è bene che io te ne squaderni a questo fresco qualche pezzo.

Gozzo. «Strambello» si dice a Firenze. Or dite, via.

Poeta. «Questa è una gran pestilenza degli scrittori che ciascuno voglia tarare l’altro. Socrate fu ripreso da Platone, Platone pelato da Aristotile, Aristotile d’Averroè, Secilio da Vulpizio, Lelio da Varrone, Ennio da Orazio, Marino da