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ragionamento settimo 165


Il Fanfera e il Lasca.

Fanfera. Io sono andato dietro a quell’uccellaccio tutta sera e alla fine e’ m’è riuscito come io mi pensava: un capo di re in opinione, cervel da republica in albagia; pur che non abbi borsa di formica, basta. In un altro paese e’ ci nascono, ma qua ci piovano! Io sto in fra due, se io lo debbo andare a trovare lá da Gozzo, perché egli è un peccato a non aiutar diventar pazzo uno’ che se ne muor di voglia; ancor non sarebbe fuor di proposito fargli stampar quel libro sotto suo nome, a suo spese, per insegnargli comprar l’immortalitá. Ma quanti ce ne sono che pagano acciò che sieno stampati i libri loro? L’è pure una dolce cosa il beccarsi il cervello! Infine io non ci voglio andare, acciò che non mi fossi detto: domenedio fa gli uomini e lor s’accompagnano. Sará meglio ch’io camini per i fatti miei.

Lasca. Fanfera, va’ tu a Vinegia domattina?

Fanfera. Vo; perché?

Lasca. Io t’ho portato questa listra e t’ho cerco dite due ore — come disse il piovano Arlotto — e con il ricordo che pesa.

Fanfera. «Un Furioso in ottavo del Giolito, un di quegli d’Aldo, e un altro di piú vecchia stampa che vi si trovi; un Centonovelle del Giolito in quarto e uno in dodici; un Titolivio del Nardi, l’Arcolano, le Lettere del Tolomei, la Musica di Cipriano, le Sorte del Marcolino, le Medaglie del Doni, quelle antiche con i rovesci; tutte l’opere che si trovano di Giulio Camillo e quelle del Daniello; quelle Lettere prime d’Aldo e le prime dell’Aretino e il primo libro di Rime, i Mondi del Doni e i Pistolotti». Volete voi altro che questi pochi libri?