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234 i marmi - parte seconda


provinzia; e se nella guerra era stato valoroso, egli riuscí mirabile nella pace e nella aministrazione della republica eccellentissimo.

Soldo. Di grazia, scorrete insino alla morte di costui, se avete letto tanto inanzi.

Matteo. Son contento. Narsete, adunque, per fama era onorato, come colui che fu vincitore di molte battaglie; era ricco per molte spoglie e, finalmente, per il governo molto stimato. Ora, come ho detto, egli era greco di nazione e per questo era da’ romani secretamente, perché l’invidia non morí mai, odiato, e tanto piú che ogni giorno cresceva in ricchezza e veniva per suoi meriti piú glorioso. Il caso fu ultimamente questo che molti nobili romani se n’andarono dall’imperadore Giustiniano e dall’imperatrice Sofia a dolere del governo di Narsete e, dopo molte cose dette, usaron un simil modo di parlare: che avevano per manco male esser retti dai gotti che governati da un greco ed eunuco; e, con cautele, l’aggravaron molto aspramente con dire particularmente che egli per suo servizio gli costringeva piú che per l’imperio e gli aggravava di cose che non erano né lecite né giuste, onde egli ci doveva in tutto riparare; e che volevano piú tosto darsi in preda al re dei gotti potente che a un greco eunuco valente tiranno. Udita questa querela, l’imperadore rispose: — Se uno fa male, impossibile fia fargli bene, e se uno fa bene, è gran torto e gran vergogna fargli male. — Gli istoriografi dicono che l’imperatrice gli aveva, tratta da uno instinto naturale, alquanto d’odio, sí per essere eunuco, sí perché era molto ricco e sí perché si faceva ubidire e comandava piú assai di lei ed era temuto; onde, avuta questa occasione, si mostrò contro a Narsete, quando gli parve tempo, un poco rigida, altiera e disdegnosa. E venendogli Narsete inanzi, ella gli disse queste o simil parole: — Narsete, essendo tu eunuco, non sei uomo; onde non è dovere che tu regga e governi gli altri uomini: però io ti comando, come feminil persona, che, in cambio di dominare popoli, che tu tessa e cucia: vattene adunque fra le mie donne a dar loro aiuto, ché a cotesto esercizio che tu fai non se’ tu buono. —