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278 | i marmi - parte seconda |
Pollo. Sta bene.
Enea. Di quell’andare inanzi, con uno spuntone su la spalla e il mio ragazzo con la celata e con la picca, la mi sodisfaceva. Oh come la pestava io bene, con quei passoni, intirizzato! bravo! Ma quando si cominciò a dar ne’ tif, taf, mai a’ miei di ebbi si gran paura: e’ non traeva mai scoppietto che io non mi tastassi con una mano tutto il petto e con l’altra mi copriva il viso; il raccapricciarmi poi e il tremar tutto da capo a piedi ve lo do vantaggio.
Vico. Ah! ah! perché non fu egli da dovero?
Enea. Arei avuto manco paura, ben sapete; perché i sogni fanno piú paura, dormendo, a uno che quando egli è desto.
Pollo. Lo credo, per dio!
Enea. Ultimamente, noi fummo rotti; e il mio cavallo (perché era montato su, per tenér la battaglia insieme)...
Pollo. Ancor per fuggir piú presto.
Enea. ...mi fu morto sotto: allora io ti so dire che io dissi il paternostro di san Giuliano, e mano a correre; e nel fuggire mi pareva dir: — Testa testa, fate testa! —
Vico. Egli era meglio gridar: — Fate capo grosso. —
Enea. Tant’è, il tanto correre mi faceva un’ansa grande, e mi parve arrivare dove erano padiglioni, trabacche e altre tresche e genti da battaglia; e mi parve d’esser fatto prigione: in questo mi destai.
Pollo. A tempo: bisognava che voi fossi stato nel sonno tanto che voi avessi fatto taglia.
Vico. Sí, e poi non si fosse trovato chi l’avesse voluta pagare, anzi, che vi fosse stato detto villania, che voi non avevi saputo guidar ben le genti né governar un campo e che il capitano non debbe mai fuggire e che se voi non l’aveste data a gambe, la cosa non sarebbe ita in mal’ora, e insino ai saccomanni v’avessero uccellato e dettovi manco che messere.
Enea. Io mi sarei morto in sogno, se mi fosse accaduto tante diavolerie. Ma chi son costoro che vengano in qua?
Pollo. Io non gli conosco: e’ mi paion forestieri.
Enea. E v’è pure de’ nostri cittadini ancóra.