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Pagina:Doni, Anton Francesco – I marmi, Vol. II, 1928 – BEIC 1814755.djvu/119

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114 i marmi - parte terza


Filippo. Noi altri, che abbiamo tutti i pozzi in casa, stián freschi, ché la non corre, non ha sole, non va né a levante né a ponente.

Biagio. Tutte le acque che hanno le vene chiuse non son molto sane, anzi son cattive, per esser gravi e terrestri. Se volete vedere una mirabile sperienza, togliete due panetti e tenetegli in acqua, tutti due d’un peso; e, cavati fuori e seccáti e ripesatigli, conoscerete qual è piú grave dal peso. Ancóra il pesar l’acque e tôr le piú leggieri è buon mezzo, per la sanitá. L’acqua generalmente è poi d’una natura che per le vene delle miniere, dove ella passa, la piglia di quella virtú: se la corre dove sia oro e argento, la conforta la natura umana; se la passa per quella del rame, la fortifica le debolezze del corpo; se per quella del ferro, fa utile alla milza; e aiutano tali acque il coito: se la passa per l’allume, viene a esser calda e costrettiva, e giova assai ai flussi; quelle che passano per il zolfo, son migliori a bagnare che a bere; ultimamente, per non cicalar piú d’acque e finirla, l’acque de’ paludosi luoghi son maligne, e, de’ pozzi, piú che se ne cava piú son migliori.

Galloria. Sará meglio che io vegga di avezzarla a ber del vino.

Filippo. Lo credo anch’io.

Biagio. La spesa ti ricordo.

Filippo. Poco può esser di piú.

Galloria. Non dir cotesto, perché, come costoro che beano acqua si dánno al vino, e’ rifanno il tempo passato.

Filippo. Fanne come di suo. Io vi lascio.

Galloria. E io.

Biagio. A rivederci con sanitá, ancóra che io ne guadagni delle malattie.