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168 i marmi - parte quarta


buon conto; e fra l’altre da notare è questa. Giá è noto al mondo chi fusse Scipione Uticense e della gran gloria che ebbe Roma di lui e il secolo presente ne ha e nello avenire n’avrá sempre, non tanto per la vinta d’Africa quanto per il gran valore della sua persona. Le son due cose che si debbon tenére in gran pregio, l’esser virtuoso e aventurato: molti furon gloriosi per la virtú della lancia e della spada, che di poi per la cattiva vita cancellaron sí fatti onori. Coloro che scrissero l’istorie romane dicono che ’l primo che scrivesse in eroico verso della latina lingua fu il poeta Ennio. Per mostrarvi come fu reputato da’ grandi, dice che Scipione, quando egli morí, ordinò nel suo testamento che nel colmo del suo sepulcro gli fosse posta la statua d’Ennio poeta: ed è gran cosa che volesse piú tosto onorare la sua sepoltura e ornare con tanto povero uomo che dintornarla di bandiere o stendardi famosi che guadagnasse in Africa. Ma ascolta quest’altra. Nel tempo di Pirro re degli epiroti fiorí un gran filosofo chiamato Cinno, e dicon che fu la misura di tutte l’eloquenze del mondo, perciò che ebbe un numero suave nel favellare, e nel concludere fu profondo con le sentenze. Serviva questo Cinno, stando in casa di Pirro re, a tre cose: il primo ufizio suo era il dir cose piacevoli, trame di facezie, novelle e motti che dilettassino alla mensa del re; conciosia che nelle cose di burle egli aveva una grandissima buona grazia.

Perduto. Deh, vedi a quel che serviva un sí fatto uomo!

Nobile. La seconda sua faccenda era scriver l’istorie, sí come colui che era eccellentissimo in stile da tanta impresa ed era ottimo testimonio per affermar la veritá. Il terzo servizio che egli faceva in corte era l’andare imbascidore a tutte le cose d’importanza del re; e in questi negozii era acutissimo e molto aventurato nello spedir delle faccende: egli trovava alle cose tante vie, tanti mezzi, e sapeva sí ben persuadere che mai nelle cose che egli terminò ebbe vergogna; insino ai patti della guerra o faceva tregue larghissime per il suo signore o finiva in pace perpetua. Pirro, favellando una volta in suo lode, disse queste parole: — Io rendo grazie infinite e immortali agli dei, o Cinno,